Il fattore P che unisce stupri di guerra, violenze domestiche e molestie sessuali

Candida Morvillo
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Quanto è politicamente scorretto dire che gli stupri di guerra non sono così dissimili dagli stupri nelle nostre case o ville di Hollywood? E davvero esistono stupratori e sopraffattori di donne più simpatici di altri? Sono le domande, qui brutalizzate, che di fatto pone l’editorialista Suzanne Moore sul Guardian, senza mai nominare Harvey Weinstein. Le soldatesse curde che due giorni fa liberavano Raqqa hanno raccontato che gli stupri subiti dai terroristi dell’Isis erano «un modo pianificato per distruggere una cultura». È la stessa cosa che dicono le donne Rohingya del Myanmar, quelle sopravvissute agli stupri e alle torture perpetrate dai soldati birmani. Ovunque, in guerra, da sempre, gli uomini stuprano le adolescenti come le vecchie. «Questo ha a che fare col potere, non con il sesso», scrive Moore e aggiunge: in una società, la nostra, in cui sempre si raccomanda di non generalizzare sulla violenza maschile, di non dire «tutti gli uomini», poi ci si rende conto che un hashtag sui racconti di molestie e violenze (nel Regno Unito è #MeToo) racconta delle miriadi di modi in cui le donne subiscono gli abusi maschili. La violenza contro le donne non è mai biasimata abbastanza, visto che in Francia il magazine di musica rock Les Inrockuptibles ha appena omaggiato con la copertina Bertrand Cantat, il cantante che nel 2003 uccise a pugni la fidanzata-attrice Marie Trintignant.

Donne stuprate per distruggere una cultura

Moore si domanda se non viviamo tutti calati in una cultura di accondiscendenza verso gli uomini violenti, prova a unire dei punti e arriva al «fattore P», P come patriarcato. In gioco, per lei, c’è una struttura di potere che le donne ovunque stanno provando a sfidare. È questo che intendono le guerrigliere del Kurdistan e le ragazze della minoranza Rohingya quando dicono che «vengono stuprate per distruggere una cultura». Il patriarcato — dall’Islanda allo Yemen, dice Moore — è quando governano più uomini che donne, quando sono le donne a occuparsi di figli e casa, quando alle donne si attribuisce una gamma di ruoli limitati. Il patriarcato, scrive, è anche l’America che elegge Donald Trump. La provocazione sta nell’invito a considerare gli stupri dall’altra parte del mondo come parte di uno stesso sistema. Ovunque, la violenza sessuale sarebbe un’arma per ribadire il potere maschile. Fila tutto, ma manca forse il salto logico ancora più politicamente scorretto, cioè che allora il nemico non è solo il maschio cattivo, ma che lo sono tutti coloro, uomini e donne, che ancora mantengono il sistema del patriarcato vivo e vegeto.

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