Genitori, figli e Rete: qualche risposta è nel nuovo libro di Alessandro Curioni

Il rapporto tra genitori, figli e Rete è certamente complesso e, ne siamo testimoni quotidianamente, in pochi hanno delle verità da trasmettere agli altri. Meglio farsi domande, allora, e andare per tentativi, cercando di stabilire regole nuove per una situazione obbiettivamente nuova. A questo proposito chi di domande sembra essersene fatte parecchie è Alessandro Curioni che ha scritto il libro “Questa casa non è un hashtag! Genitori e figli su Internet senza rete” (Mimesis edizioni - 12,00 euro). La particolarità dell’autore è quella di non essere psicologo e neppure sociologo, ma esperto in materia di cybersecurity e quindi ci sembra un buon candidato ad avere qualche risposta, forse anche “pratica”.

Non passa giorno senza che qualche adolescente si faccia più o meno male sul web, c’è qualche buon consiglio da seguire?
“La sicurezza sulla rete non è tanto diversa da quella stradale soltanto che sulla seconda tutti sono impegnati, dell’importanza della prima invece ancora in pochi hanno consapevolezza, a partire dai genitori, che mettono in mano a propri figli uno degli strumenti più potenti è complessi nella storia dell’umanità con la pretesa che imparino a usarlo da autodidatti. Regole e consigli ci sono, ma riuscire a farli applicare implica che le persone ne abbiano compreso l’utilità. Un esempio banale è l’utilità di imparare come si configurano le impostazioni privacy sui social, ma se poi è più importante avere “like” e “amici”, certe regole si evita di rispettarle. Non è diverso dai limiti di velocità sulle strade, in questo caso però non ci sono multe, ma le conseguenze del mancato rispetto possono essere decisamente altrettanto nefaste”.

Quindi non i consigli potrebbero essere inutili, forse ci vogliono delle regole?
“Con una battuta si potrebbe fare come con i neo patentati e obbligare i giovani a utilizzare telefoni “limitati”. Per esempio per i primi tre anni soltanto Nokia 3310 o simili, ma sono ormai fuori produzione. Nella realtà le tecnologie dell’informazione sono reticenti alle regole e in definitiva Internet si è sviluppata secondo logiche libertarie, quindi si tratta di fornire delle regole, ma di semplice sopravvivenza e quelle devono arrivare dalla famiglia e in parte dalla scuola. Queste sono le agenzie educative, adesso le chiamano così, sulle quali grava l’onere di mettere in condizione i cosiddetti nativi digitali di affrontare il mondo oltre lo schermo”.

Niente regole e neppure consigli. Cosa ci resta?
“La nostra memoria e mi rivolgo ai genitori. Dobbiamo pensare che in fondo la Rete e la relativa tecnologia sono prodotti dell’uomo e in qualche mondo tendono a replicarne pregi e difetti. Quelli che una volta erano il cortile o i giardinetti oggi si sono trasferiti sulla Rete, ma le dinamiche e i rischi non sono molto diversi. Quello che un tempo era riassunto in frasi come non accettare caramelle dagli sconosciuti, oggi è diventato non accettare amicizie dagli sconosciuti. Il mio libro parla proprio di questo. E’ un tentativo di rendere consapevoli madri e padri che hanno gli strumenti per affrontare il tema con i loro figli, perché informatica e sicurezza sono due cose diverse: la prima dipende da quante ne sai, la seconda da chi sei. In questo senso sono i genitori che formano i propri figli e un ruolo fondamentale lo gioca l’esempio”.

Il tema dell’esempio lo ha utilizzato anche in altri libri dedicati alla sicurezza personale on line, ma sembra che nella circostanza assuma un’importanza particolare. E’ vero?
“Basterebbe dire che i genitori sono il primo esempio con il quale ci confrontiamo nella nostra vita e quindi ci influenza a prescindere dal fatto che sia positivo o negativo. Nello specifico c’è dell’altro, perché entra in gioco la scarsa abilità tecnologica dei genitori. A madri e padri l’autorità è data, ma l’autorevolezza deve essere conquistata e la poca competenza su una materia non aiuta. Suggerirei a tutti di studiare o, in alternativa, di imparare con i propri figli. L’esperienza non manca e con un po’ di capacità di astrazione è possibile individuare i rischi anche in un contesto poco familiare come la Rete. Inoltre interagire con i propri figli su questi temi produce un altro importante effetto collaterale”.

Quale effetto?
“Il più delle volte i genitori scoprono i disastri molto tempo dopo che sono successi. Anche nel caso delle 63 ragazze di Modena, la notizia è diventata di dominio pubblico quando ancora molte famiglie non avevano idea che la propria figlia fosse rimasta coinvolta nella vicenda. Se invece il tema della presenza on line diventasse un argomento affrontato senza giudicare, anzi con l’idea che si tratta di un percorso comune in cui genitori e figli imparano insieme a utilizzare social network e chat, allora l’adulto potrebbe avere quelle informazioni che gli servono per prevenire problemi più gravi. Nel caso di Modena la chat non stata subito un luogo di scambio di materiale ai limiti della pornografia. Posso immaginare che un genitore coinvolto sin dal principio nella genesi di quel gruppo avrebbe ben presto intuito che la situazione stava prendendo la piega sbagliata e forse avrebbe potuto intervenire”.

Siamo proprio sicuri che gli adulti siano in grado di comprendere quando sulla rete le cose si mettono male?
“Ho scritto due libri sui limiti dell’uomo al cospetto delle nuove tecnologie e mi sono spinto fino a teorizzare la sua “inadeguatezza biologica” rispetto alla Rete, ma dobbiamo evolverci e quando si è genitori questo diventa un obbligo. Quando dicevo che abbiamo messo nelle mani dei ragazzi lo strumento più potente mai realizzato mi riferivo anche al fatto che per loro lo smart phone è uno strumento non prescindibile. Quando avevo la loro età la mia vita era scandita dall’uso di una serie di oggetti come la televisione, lo stereo, il telefono, carta e penna, la sveglia, la macchina fotografica, l’orologio, l’enciclopedia sulla quale facevo le ricerche per scuola. Per il mio corrispettivo attuale tutto è dentro lo smart phone… Possiamo veramente immaginare di porre dei limiti al suo utilizzo? Personalmente credo di no, ma questo non significa che non si debba fare capire ai giovani come usarlo senza farsi del male”.

Condividi:
  • Facebook
  • Twitter
  • Google Bookmarks
  • FriendFeed
  • LinkedIn
 

Un commento

  • Solo una precisazione: non è affatto vero che i telefonini semplici, che servono solo per telefonare e per mandare brevi messaggi scritti, ma senza collegamento a internet, "siano ormai tutti fuori produzione", come lascia intendere l'articolo.

    I miei figli ce li hanno, e li uso ancora anch'io, in famiglia ne abbiamo una vera e propria scorta, e gli ultimi sono stati comprati non più di due mesi fa.

    Ci sono eccome, costano non più di 30 o 40 euro, e sono gestibilissimi da chiunque.

    Che poi siano diventati "impopolari", e la maggior parte della gente si vergogni a usarli o a comprarli, è un altro discorso... ma dire che non esistono più o che siano introvabili, è proprio falso.