Milo Rau nell'incubo della pedofilia

Questa mia recensione è uscita il 25 settembre del 2016 su Repubblica quando lo spettacolo fu ospite il 15 settembre a Roma all'interno del festival Short Theatre diretto da Fabrizio Arcuri. Ora il bellissimo spettacolo di Milo Rau torna in scena a Milano grazie a Zona K e Triennale che lo ospita nello spazio del Teatro dell'Arte sabato 14 (ore 20.00) e domenica 15 ottobre (ore 16.00). Da vedere.

"Five easy pieces" di Milo Rau

"Five easy pieces" di Milo Rau

Non c'entra la denuncia, il messaggio, l'intento didattico alla Bertolt Brecht. Il teatro politico di Milo Rau scalza gli schemi consueti. Il regista svizzero si è conquistato le attenzioni internazionali con la sua compagnia (e si chiama International Institute of Political Murder), attraverso una straordinaria maestria nel mettere in scena un tema cruciale del nostro tempo come fosse sotto osservazione “scientifica”: non lo usa didascalicamente, non cerca colpi di scena, si limita a proiettarne ombre e verità. In Breivik's statements un'attrice leggeva le dichiarazioni dell'assassino di Utoya al processo, in Hate radio ricreava lo studio dell'emittente radiofonica che aveva fomentato i Tutu contro i Tutsi in Ruanda. Nel bellissimo Five easy pieces, meritoriamente portato in Italia da Short Theatre, dal Festival di Terni e Contemporanea di Prato, la sfida di Milo Rau diventa più difficile: il tema è la pedofilia, il caso quello di Marc Dutroux, l'elettricista belga che dall'85 al '96 aveva sequestrato e seviziato sei bambine, lasciandone morire due. In scena cinque piccoli ambienti per ciascuno dei cinque “monologhi” : il salotto di casa di una delle bambine, quella del papà Dutroux, l'ufficio di polizia, il letto della “prigione”... L'elemento sovversivo è che a recitare sono sette bravi e bei bambini belgi: Rachel Dedain, Maurice Leerman, Pepijn Loobuyck, Willem Loobuyck, Polly Persyn, Elle Liza Tayou, Winne Vanacker di volta in volta nelle parti dei carnefici, degli adulti e delle vittime. Apparentemente una scelta discutibile che diventa essa stessa oggetto di spettacolo: i bambini dicono chi sono, perchè recitano, cosa vogliono fare da grandi; durante lo spettacolo,poi, l'attore/regista, Peter Seynaeve, li incita, “piangi di più”, “rifai la scena”, e li riprende con una cinepresa che li proietta su grande schermo dove talvolta ci sono le immagini di attori adulti che “doppiano” quello che fanno i bambini. Insomma, una macchina molto ben studiata per creare un cortocircuito potente tra finzione e verità, tra amore e orrore verso quei bambini. Tanto che il sentimento di imbarazzo, di inadeguatezza, quasi di vergogna che suscita è molto più sovversivo di qualunque proclama.

Condividi:
  • Facebook
  • Twitter
  • Google Bookmarks
  • FriendFeed
  • LinkedIn
 

3 commenti

  • Certamente. Senza contare le trappole del correttore automatico... Comunque i suoi post sono sempre fonte di notizie interessanti. Specie quelli, recenti, sulla politica culturale di Roma.

  • certo, grazie!I refusi scappano anche non volendo....

  • Purtroppo, quello si chiamava Bertolt Brecht, non Bertold. Sbagliarono la trascrizione del nome all'anagrafe e lui decise di non correggere l'errore, firmandosi con la t invece che con la d.