Bari

Taranto, arrestato il boss Caporosso con 10 affiliati: la 'ndrangheta lo aveva scelto come padrino

(eikon)
Affari con i clan baresi con la benedizione della mafia calabrese: fermata un'organizzazione per delinquere di stampo mafioso che operava tra Massafra, Statte, Palagiano e il rione Tamburi di Taranto
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Affari di droga e racket coi clan baresi e con la benedizione della ndrangheta calabrese. In manette il boss della sacra corona unita, Cataldo Caporosso e altri dieci presunti affiliati al clan. L'operazione 'Lampo' dei carabinieri ha sgominato una associazione per delinquere di stampo mafioso che operava tra Massafra, Statte, Palagiano e il rione Tamburi di Taranto. Tra le accuse mosse al clan anche quella di aver cercato di fornire sostegno elettorale nel 2015 al candidato al consiglio regionale ud Antonio Scalera, non eletto, risultato ignaro dell'appoggio ed estraneo all'indagine.

L'inchiesta è nata nel 2014 dall'operazione Sant'Anna del reparto anticrimine dei carabinieri di Reggio Calabria. Il 'patriarca' della 'ndrangheta di Rosarno, Umberto Bellocco, tra i fondatori della Scu, è uscito dal carcere dopo 21 anni di detenzione e dopo aver ricevuto ossequiosa visita da Caporosso, lo ha elevato al grado di padrino durante un rito celebrato in casa sua, "il nostro braccio è sempre a vostra disposizione" diceva intercettato, autorizzandolo così a infiltrarsi nei settori economici più redditizi nel suo territorio, per primo quello ittico e nel mercato della cocaina con l'appoggio e la benedizione del sodalizio calabrese.

Secondo gli investigatori il clan poteva contare su intimidazione e vincolo di omertà, aveva disponibilità di armi e trattava consistenti partite di droga che da Andria viaggiavano fino ad una palestra di Massafra per il confezionamento. Tra gli episodi riferiti dal gup di Lecce nell'ordinanza di custodia cautelare, sintomatici della capacità intimidatoria, oltre al tentativo, a sua insaputa, dell'appoggio elettorale a Scalera per le regionali, la spedizione punitiva a mercato del pesce nei confronti dell'attività di Michele Boccuni, di cui Caporosso era socio occulto.

I rapporti tra i due si sono rovinati quando il boss avrebbe cercato di inserire in azienda suoi parenti. Per l'accusa, a febbraio 2015 il boss massafrese si è presentato con suoi uomini al mercato in pieno giorno e ha distrutto il gazebo di Boccuni con una motosega facendo danni per decine di migliaia di euro. L'episodio non è mai stato denunciato alle forze dell'ordine.

Dalle indagini emerge che nel clan gli affiliati si chiamavano "compare" o "fratello", mentre agli esponenti di rango superiore si riferivano con "papà" o "zio".. Rispettavano un vero e proprio 'codice d'onore', fatto di regole. "Ho fatto una figura di m... con tutto il paese, mai con la moglie di un amico, non è rispetto" dice uno degli affiliati intercettato al telefono.

Il vincolo mafioso si fa sentire perfino sui social network. Ad un parente di Caporosso, incredulo per aver subìto il furto della moto, è stato sufficiente rievocare il cognome del boss su Facebook per ottenere la restituzione del mezzo in 48 ore. Oltre alle "squadre di sicurezza" per le spedizioni punitive, nel clan c'era anche chi si occupava del mercato di cocaina. In particolare dalle indagini emergono rapporti commerciali col clan Putignano nel Barese e con Riccardo Sgaramella, operante nella Bat.

Il gupleccese Edoardo D'Ambrosio ha ordinato la custodia in carcere per Ivano Andresini, Cristiano Balsamo, Cataldo Caporosso, Pietro Damaso, Gianvito Gentile, Valentino Antonio Laterza, Massimiliano Lovero, Mario Miolla, Michele Monaco, Tommaso Putignano, Riccardo Sgaramella. Ai domiciliari è finito Emanuele Pignatelli, obbligo di firma alla polizia giudiziaria per Alberto Caporosso. Sotto sequestro una ditta di onoranze funebri, cinque veicoli e conti correnti per circa 100mila euro. Nell'inchiesta sono coinvolte 28 persone.