Bari

Silvia Godelli: Benedetto Petrone 40 anni dopo, perché è urgente riflettere sul nuovo fascismo

Un murale con l'immagine di Benedetto Petrone 
L'intervento dell'ex assessora delle giunte Vendola sull'omicidio del giovane comunista barese: domenica 26 novembre al Petruzzelli la videoinchiesta di Repubblica e l'intervista sui nuovi fascismi al ministro Minniti
2 minuti di lettura
Corrono i quarant'anni dalla morte di Benedetto Petrone, e Repubblica ci invita a una riflessione, più che mai utile, opportuna, indilazionabile. Fascismi, populismi, sovranismo, antisemitismo, razzismo, Europa delle Nazioni, etnie, separatismi: queste parole ricorrono nel vocabolario quotidiano con una intensità assolutamente inedita, e corrispondono, in varie maniere, a visioni condivise nella pancia della società, qualcosa che non si limita più solo a serpeggiare in forma inconfessata, ma comincia a tracimare in modo talora eclatante in atti individuali e collettivi.

Non mi riferisco solo alle platee insubordinate degli stadi, agli striscioni, alle svastiche, ai canti o ai saluti romani. Episodi ripugnanti, certo, ma in qualche modo ancorati a una subcultura tradizionale che concede, nel tifo calcistico, l'eruzione di un sommerso violento e regressivo fomentato dalla condizione di massa che assicura impunità e autoassoluzione. No, mi riferisco ad altro, a qualcosa di più profondo e diffuso che non siano le pratiche inaccettabili degli stadi e delle tifoserie. Un argine in questi ultimi anni si è spezzato, è stato infranto.

Questo è avvenuto in Italia, in Francia, in Austria, in Germania, nei Paesi dell'Est, seppure con manifestazioni differenti. In taluni casi si tratta di aspetti fortemente organizzati: formazione e sviluppo di partiti politici di estrema destra che si sono presentati a regolari elezioni, riedizione di associazioni neonaziste, persino megamanifestazioni come quella dell'11 novembre a Varsavia.

In molti altri casi, ed è ciò che maggiormente preoccupa, le pulsioni inconfessabili (razzismi, antisemitismi in primis) hanno trovato canali di parola, di comunicazione e di azione diffusa, sdoganamenti nel senso comune e non più solo nel web. Anche in Italia. Nei quartieri popolari delle grandi città, nelle periferie degradate, e persino nei paesini tradizionalmente più inclini alla coesione e alla solidarietà, pezzi di società impoveriti e marginalizzati, da decenni abbandonati dalle politiche nazionali (ahi sinistra, dove sei?), stanno esplodendo e offrendo il terreno di coltura per il razzismo, il populismo più becero, l'odio manifesto per qualsiasi forma di solidarietà sociale, l'odio verso tutto e verso tutti.

E, come sempre accade, queste diffuse stratificazioni di sentimenti regressivi e aggressivi cercano le loro giustificazioni "ideologiche", cercano il nemico. Volta a volta l'euro, l'Unione europea, le élite finanziarie (e siamo ancora ai confini della politica e di una discussione accettabile), ma poi, di getto, l'invasore, il clandestino, il rubalavoro, il nero stupratore, l'ebreo massone e profittatore, il musulmano, l'arabo, l'omosessuale e così sia. Le nostalgie politiche mussoliniane e i pellegrinaggi sulla tomba del Duce, al confronto, fanno sorridere.

Anche la classificazione dei "nemici" assume forme varie. Un "nemico" che trova una straordinaria convergenza di massa è rappresentato dai "politici", "la casta", a piena e drammatica dimostrazione del fallimento appunto della politica tradizionale e della sua funesta perdita di insediamenti di massa. Qui gli spazi per la canea populista frammista agli echi delle ideologie fasciste del Novecento trovano ampia accoglienza. Nemica l'Europa (non solo l'Unione europea) in favore di logiche separatiste prive di alcuno spessore di analisi economica e politica. Nemici naturalmente "gli stranieri", i "clandestini", e qui il gergo si moltiplica con soddisfazione nella ricerca della parola insultante e marginalizzante, nel disprezzo e nel sospetto. Nemiche le ONG, ormai accusate dei più turpi misfatti mentre soccorrono i migranti in mare. Nemico "l'ebreo", il termine ormai utilizzato apertamente come insulto.

La situazione è allarmante, e va peggiorando. La capacità di reazione del corpo della società è assai basso. Sembrano svaniti gli anticorpi: persino un accordo inquietante come quello tra il governo italiano e la Libia non ha incontrato reazioni significative. La strumentalità di forze politiche che cercano di trarre tornaconto da questo contesto ingovernabile assecondando le pulsioni peggiori appare diffusa e sconfortante. La scuola, ahinoi, in troppi casi non riesce a far fronte ai suoi compiti educativi.

I media, le tv principalmente, non sempre controllano a dovere il proprio linguaggio. E non parliamo del web. La qualità della informazione è spesso insufficiente, scarseggiano le occasioni di approfondimento. Il quadro generale si fa fosco, e denuncia l'incapacità delle cosiddette classi dirigenti, delle élite, degli intellettuali, di farsi carico della gravità della situazione. È bene saperlo, è bene dircelo. Forse siamo ancora in tempo.
I commenti dei lettori