3 marzo 2018 - 11:16

Federico Buffa stasera al Creberg
In scena «Alì, a night in Kinshasa»

Il narratore: «Il mio segreto? Il privilegio di narrare le storie di chi più mi affascina». E parla anche di Atalanta: «Per un giorno è stata la squadra degli italiani , con il Borussia l’80% ha tifato per i nerazzurri»

di Daniela Morandi

Federico Buffa in scena Federico Buffa in scena
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Gira nelle vite dei campioni del passato, perché ha una visione antropologica dello sport, alla Brera. Di lui lesse tutto, a partire dall’Arcimatto passatogli dal padre, che gli diceva: «Leggilo. Non capirai niente, ma tu leggilo». Federico Buffa è un narratore preso a modello da molti, anche se non se ne rende conto, perché «non ho attrazione per la visibilità», dice, tanto da non rivede mai le cose che fa. Solo due eccezioni: Arpad Weisz e una puntata di Storie e mondiali. Altrimenti consegna un grezzo alla produzione che lo monta, smonta, edita, musica. È successo anche con Muhammad Ali, che stasera rivivrà al Creberg con «A night in Kinshasa»: Ali contro George Foreman. «Quando ci si avventura su un 8 mila himalayano come Ali devi pensarci bene. Ho illustrato l’idea alla regista Maria Elisabetta Marelli che ha letto i miei appunti e tirato fuori uno spettacolo con molta musica, Africa, flashback della vita di Ali — racconta il giornalista —. Ali e Foreman si incontrarono 5 anni dopo a Houston, entrambi con un percorso di fede: il primo mussulmano ortodosso sunnita, il secondo predicatore battista. Cominciarono a parlare. Muhammad registrava le telefonate e decise di farlo anche con quella conversazione, che chiude lo spettacolo».

La boxe è un pretesto per parlare di altro?
«Sì perché ci sono divagazioni sulla vita di Ali, il suo ruolo politico, di sportivo e pacifista. No, perché c’è molto del match».

Che non è solo un incontro di pugilato.
«È il primo grande evento sportivo in Africa, il successivo saranno i Mondiali di calcio in Sudafrica. È un fatto di soldi: il settimo uomo più ricco del mondo, il dittatore Mobutu, diede 5 milioni a ciascun pugile per far parlare di sé e del suo Paese, lo Zaire. Era un altro mondo e questo match ebbe caratteristiche irripetibili. Poi adoro le storie dove l’uomo supera il 20% delle capacità mentali per dominare il corpo con la mente. Ali lo fece».

Il suo raccontare incanta anche chi non è appassionato di sport. Il segreto?
«Studio tanto e ho il privilegio di raccontare le storie di chi voglio e di cui vorrei ascoltare una storia. Questo ti permette di innamorarti del personaggio e ti aiuta nel descriverlo. Le mie storie sono di uomini morti o che non hanno più un ruolo sportivo, perché mi piace vederne tutta la parabola. Se si riesce a fare qualcosa di divulgativo in un mondo che consuma tutto a velocità forsennata è buono».

Se avesse la macchina del tempo chi intervisterebbe?
«Giuseppe Meazza. Mi piacerebbe vedere come viveva. Fu il primo giocatore italiano glamour. Una volta si svegliò in un bordello dopo aver passato la notte con una o due donne, si accorse che la partita era alle 15 all’Arena a Milano. Chiamò un taxi, vi salì in vestaglia. Arrivò all’Arena e segnò tre goal».

Racconterebbe questa stagione atalantina?
«La stagione europea dell’Atalanta ha lasciato il segno. Per un giorno è stata la squadra degli italiani, che per l’80% hanno tifato per lei contro il Borussia, perché è squadra spregiudicata, ha un gioco diverso e un particolare rapporto col suo pubblico».

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