Bologna

Zuppi: "Bologna sia piazza di incontro e non scontro"

L'arcivescovo a San Petronio lancia le linee guida alla Curia per mettere in atto le parole del Papa. "Ora bisogna sporcarsi le mani"

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BOLOGNA. Fatti, ma anche parole. Anzi, Parola. L’arcivescovo Zuppi nel giorno di San Petronio ha dettato le linee guida e gli obiettivi che la città cattolica — ma non solo — deve perseguire, in una cerimonia durata 140 minuti e terminata con la benedizione sul sagrato della Basilica. La visita di Papa Francesco non è stata l’atto conclusivo di un percorso, ma l’inizio. Adesso bisogna mettere in pratica quelle parole — esorta — anche tramite una riorganizzazione delle parrocchie, una maggior presenza nel territorio e una diffusione del Verbo, attraverso la predicazione informale.

Non saranno i “frati volanti” di Lercaro, la squadra di evangelizzatori istituita dal cardinale nel 1954, in piena guerra fredda, per combattere opporsi al comunismo nelle periferie bolognesi. Ma Zuppi chiede uno sforzo in più, in parole e opere, ai “suoi”, intanto, perché le indicazioni di Papa Francesco — le tre P enunciate allo stadio: Parola, Pane, Poveri — non rimangano lettera morta, teoria.
 
Don Matteo ha consegnato simbolicamente la prima copia alle parrocchie della sua Lettera Pastorale Non ci ardeva forse il cuore nel petto?, dal racconto tramandato da Luca nel Vangelo. Un documento in cui riassume i suoi primi due anni bolognesi e indica la strada quotidiana da percorrere d’ora in avanti. «Desidero — spiega — che sia come il cammino dei due discepoli di Emmaus che ritrovarono la Parola di Dio e la speranza che da questa sgorga. Ho voluto raccogliere molte delle indicazioni emerse nelle parrocchie e nelle altre realtà. Questo anno ricominceremo semplicemente dalla Parola, sine glossa, senza le tante aggiunte, perché non è una lezione che si impara una volta per tutte ma la compagnia fedele che fa ardere il cuore».
 
Bisogna «sporcarsi le mani come fece San Petronio con l’umanità che vive nella città degli uomini », «farsene carico»: così, sintetizza ed incita Zuppi una volta di più all’inizio della sua omelia in una chiesa strapiena. Il suo discorso riprende in più punti i concetti e le frasi del Santo Padre. Incita i fedeli affinché Bologna «abbia sempre al centro l’uomo, non sia una piazza anonima di tante solitudini ma un luogo largo, accogliente, di incontro, non di scontro, non di strilli o “urla dirette allo stomaco”. San Petronio ha pensato Bologna come Gerusalemme. Costruiva e sognava, “in grande”. Tutti possiamo aiutare perché i sogni “si fanno ad occhi aperti e si portano avanti alla luce del sole”».
 
 L’arcivescovo trae una sorta di bilancio, non solo spirituale, della giornata bolognese del Pontefice, ringraziandolo per «non essersi risparmiato», e ringraziando di cuore le istituzioni e chiunque si sia adoperato anche nell’ombra. «Nelle tantissime persone — dice dall’altare — , nonostante i limiti imposti dalle indispensabili condizioni di sicurezza e dal tempo avverso, che si sono affollate lungo il percorso, ci era facile vedere la stessa folla del Vangelo che mosse a compassione Gesù».
 
 Racconta, Sua Eminenza, del Papa che ha donato «uno ad uno il pane» ai poveri in San Petronio, «non so quanti selfie si sia fatto... ». E risponde anche a chi ha polemizzato per aver profanato il tempio trasformandolo in mensa: «Non dobbiamo essere gelosi... Questa casa del Signore è diventata per un giorno un anticipo di quel banchetto tutto umano dove si siederanno a mensa nel Regno dei cieli».
«C’erano i “nostri” anziani che spesso non sono più di nessuno, abbandonati così alla tortura che è la solitudine e che hanno vissuto domenica “la giornata più bella della loro vita”, come mi ha detto Ferruccio, il sopravvissuto della strage di Marzabotto. I suoi occhi chiarissimi, che hanno visto tanto orrore, pieni di lacrime tanto era commosso davanti al Papa, da non riuscire a dirgli nulla, sono un’immagine che mi porterò sempre».
 
 E infine fa suo il monito papale: «La comunione è affidata ad ognuno di noi. Nessuno è spettatore, nessuno ha diritto di umiliarla o usarla per sé in nome della sua verità o del suo punto di vi- sta. Mai. Senza Comunione rischiamo di diventare prigionieri del banale e mondano individualismo. Nella comunione il più grande è colui che si fa servo. Una Chiesa umile, ma non modesta; di umili e poveri, non di cristiani che cercano una vita fatta a tavolino “dove basta adempiere qualche dettame per acquietarsi la coscienza”. Per questo non valutiamoci più di quanto conviene, Abbiamo la tentazione di essere vecchi e nuovi profeti di sventura che giudicano in astratto, che vedono i problemi dove non ci sono, i nemici e non il Nemico. C’è bisogno di uomini di speranza che credono alla luce quando c’è il buio, disposti a seminare bontà nella cattiveria,a costruire tenacemente l’amicizia quando c’è la divisione».