Milano, 3 ottobre 2017 - 09:39

Islamismo in cella, i rischi e i rimedi:
quando Brescia fa scuola

È il caso del progetto lanciato dal ministero che prevede l’ingresso in carcere di inviati dei centri islamici incaricati di assistere i detenuti musulmani nella preghiera. Un servizio che ha lo scopo di prevenire un culto fai da te

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In queste settimane, le notizie che arrivano dalle carceri bresciane, non sono belle notizie: parlano di tensioni quotidiane, atti di autolesionismo, risse e scontri fra bande rivali. Fra individui che vorrebbero ricreare nelle sezioni di Canton Mombello le leggi e le geografie della strada, con i suoi capi e i suoi gregari, le influenze e le servitù. Eppure fra queste mura si continuano a fare piccoli e grandi miracoli quotidiani; a costruire, con l’impegno di tutti, dalla polizia penitenziaria al personale dell’area trattamentale, una convivenza possibile; a tracciare una strada percorribile verso l’aspetto rieducativo della pena. Brescia ci ha abituato a questi sforzi che sono capaci di fare scuola. È il caso del progetto lanciato dal ministero (ne ha parlato domenica un’inchiesta del Corriere di Goffredo Buccini) che prevede l’ingresso in carcere di inviati dei centri islamici incaricati di assistere i detenuti musulmani nella preghiera. Un servizio che ha lo scopo di prevenire un culto fai da te che rischia di radicalizzarsi. Canton Mombello è uno delle otto case circondariali dove è iniziata la sperimentazione e dove, da tempo, per ragioni di sicurezza vengono tenuti sotto osservazione alcuni soggetti a rischio (uno, tempo fa, è stato espulso subito dopo aver scontato la pena, proprio per aver manifestato compiacimento per alcuni attentati terroristici di stampo islamista). Ora in collaborazione con il centro islamico che aderisce all’Ucoii, organizzazione moderata, cinque emissari della moschea di via Corsica entrano non solo a Canton Mombello, ma anche a Verziano per aiutare i musulmani nella preghiera, per predicare un Islam «sano» evitando che isolamento e ignoranza finiscano per oscurare le coscienze dei detenuti. Presto ci sarà anche una donna che si occuperà delle detenute della sezione femminile per completare l’assistenza al culto che è anche una preziosa arma di prevenzione e di aiuto. Ma Brescia non si è solo fatta parte diligente in quest’opera, aprendo la strada ad altre carceri, ma vuole fare di più. Vuole, attraverso progetti mirati, diffondere l’interculturalità fra gli ospiti delle strutture perché quello che conosci non lo temi e perché la religione da elemento di dialogo non può mai diventare ragione di odio. Poco meno di una decina di carceri italiane (comprese quella di Rossano Calabro, che ospita gli arrestati per terrorismo internazionale) poi sono diventati oggetto di studio da parte dell’Università di Brescia sui temi della radicalizzazione. Rispondendo ad un questionario centinaia di detenuti stranieri hanno riflettuto sui rischi dell’islamismo e sulla percezione di questo fenomeno nelle anguste celle italiane.

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