10 marzo 2018 - 10:24

Verso il dialogo:
la sfida delle religioni

La convivenza pacifica non si costruisce eliminando chi è diverso, bensì incontrandolo e riconoscendo che è anzitutto una persona umana, figlia di Dio

di Giacomo Canobbio

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La percezione della realtà non sempre coincide con la realtà. Il principio è enunciato frequentemente, ma pare non riesca a fare breccia nella mente di molte persone. Lo si riscontra a proposito degli stranieri presenti a Brescia e provincia, come pure nel resto dell’Italia. È luogo ormai comune che saremmo invasi dai musulmani, i quali gradualmente vorrebbero cancellare, con progetto occulto, ma ben conosciuto da chi ha occhi attenti, la nostra religione. Per un verso fa piacere che sorga la preoccupazione di preservare la religione cristiana, parte indiscussa della nostra tradizione e quindi della nostra identità. Per altro verso suscita qualche perplessità il modo con cui tale preoccupazione si manifesta. Nessuna meraviglia che la presenza di persone diverse per cultura e per religione susciti timori: chi appartiene ad altre tradizioni destabilizza perché mette in discussione la convinzione che il proprio modo di pensare e di vivere sia il migliore. Ci si può tuttavia domandare se la provocazione che viene da chi arriva da altre parti del mondo non possa invece essere una opportunità. Non ci si può illudere che la sfida sia da affrontare a cuor leggero, che trovare forme nuove di convivenza sia facile, che i percorsi per raggiungere originali sintesi culturali siano privi di difficoltà. Va però messo in conto che la nostalgia di identità culturali e religiose ben precisate viene meno di fronte all’urto della realtà.


Brescia è ora di fatto una città multireligiosa e non potrà più tornare a essere soltanto una città cattolica. Tuttavia Brescia non cessa di essere una città a stragrande maggioranza cristiana: la presenza di mussulmani, in alta percentuale sunniti, è soltanto di poche decine superiore agli appartenenti ad altre confessioni cristiane. Ciò sta a dire che non siamo invasi dai mussulmani, tanto meno dai sikh e dai buddisti, che pure sono presenti tra noi. Ci si può piuttosto interrogare se nei loro confronti non potremmo essere più accoglienti. Certo, alla paura non si comanda. Ma la paura può essere accresciuta o gradualmente stemperata: dipende da come si guardano i fenomeni e da come se ne parla. Se si gonfiano indebitamente i numeri, anziché attenersi ai dati statistici ovvio che le paure aumentano. Se si sta alle proporzioni numeriche, si coglie sicuramente una sfida, ma si può mantenere la lucidità per affrontarla con pacatezza. Ma come? Anzitutto liberando la mente dall’idea semplificatrice che tutti i mussulmani sono terroristi o almeno intenzionati a distruggere la nostra identità.

Le frettolose citazioni del Corano che circolano sulla bocca di tanti timorosi, estrapolate dal contesto notevolmente variegato di questo libro religioso, non legittimano la sommaria e superficiale idea appena richiamata. A una mente lucida appare chiaro peraltro che i nostri valori non sono messi in discussione dai mussulmani; siamo piuttosto noi che li stiamo perdendo - e non per causa loro. In secondo luogo riconoscendo che la libertà religiosa - principio sacrosanto affermato dal pensiero moderno e fatto proprio anche dal concilio Vaticano II - deve essere riconosciuta a tutti. E non vale negarla dichiarando che nei Paesi islamici (ma non solo: si pensi all’India) essa è negata ai cristiani: sarebbe perdere un valore fondamentale della nostra tradizione. In terzo luogo cercando di conoscere le persone accostandole senza pregiudizi: è questo il modo di essere cattolici nel senso etimologico del termine. Così facendo si imparerebbe che ci sono mussulmani, sikh, buddisti, ortodossi, luterani, valdesi, atei, che vogliono costruire con noi un mondo di pace. Certo, accanto ad altri arrabbiati, scontrosi, approfittatori, che sono però una minoranza. La convivenza pacifica non si costruisce eliminando chi è diverso, bensì incontrandolo e riconoscendo che è anzitutto una persona umana, figlia di Dio. Non è questo quanto abbiamo imparato dalla nostra religione?

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