Enzo Pirigno viveva nel Lazio. I carabinieri del Ros lo hanno catturato dopo che si era reso irreperibile da diversi mesi. Secondo diversi collaboratori di giustizia sarebbe stato attivo a Picanello, rione dove viveva prima di fuggire. «È stato il mio patrozzo di galera, l'ho conosciuto nel 2003 a Catania», raccontava Mario Sciacca
A Rieti carabinieri catturano latitante Vincenzo Dato «Nei Santapaola di Picanello, le rapine il suo forte»
Dai piedi dell’Etna alla città di Rieti, nel cuore dell’Italia. La latitanza di Vincenzo Dato nel Lazio si è però interrotta con la visita dei militari del reparto operativo speciale dei carabinieri. Quando hanno bussato alla porta dell’appartamento in cui viveva, il 42enne, conosciuto a Catania con l’appellativo di Enzo Pirigno, ha mostrato una carta d’identità falsa. I dati anagrafici non corrispondevano a quell’uomo pelato raffigurato nella fotografia. Subito sono scattate le manette ai polsi e Dato è stato portato via. Con lui, a fargli compagnia all’interno dell’immobile, c’erano anche altre tre persone, tra le quali una donna originaria del capoluogo etneo. Il mandato di cattura, che pendeva sulla testa del fuggitivo da dicembre 2017, era stato spiccato dopo la condanna a quattro anni nel processo d’appello Fiori bianchi.
Enzo Pirigno ha alle spalle una serie di precedenti penali anche per tentata rapina, rapina, porto d’armi, furto, evasione, tentata estorsione e violazione delle misure di prevenzione. La sua base operativa, prima di scappare fuori Sicilia, è stata via de Caro, nel quartiere Picanello di Catania. Ma in particolare, stando ai racconti dei collaboratori di giustizia, avrebbe avuto il ruolo di responsabile mafioso di via Caduti del lavoro. Uno stradone dritto sempre nel cuore del rione popolare, che collega piazza Madonna della salute con la zona di Ognina. Il tutto sotto la cupola della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano e, in particolare, con l’uomo d’onore Rosario Tripoto. «Portava le ambasciate fino a Canalicchio, nel corso di incontri che si tenevano tra la famiglia Santapaola e il clan Laudani». A parlare con i magistrati, nel corso di un interrogatorio risalente al 18 marzo 2011, è il collaboratore di giustizia Nazareno Anselmi. Lui, però, non è l’unico pentito a puntare il dito contro Dato.
Altri dettagli sul profilo del latitante vengono forniti da Mario Sciacca, ex affiliato del clan Laudani. «È il mio patrozzo di galera, l’ho conosciuto nel 2003 nel carcere di Catania», racconta Sciacca ai magistrati. «Si occupa di rapine», conclude. Dato, come confermano alcuni documenti, è stato arrestato per una rapina commessa in trasferta, a Torino, nel settembre 2008. Quando è stato fermato, insieme a Carmelo Sciuto, per un colpo a un ufficio postale. Poco prima, a maggio dello stesso anno, sarebbe stato il responsabile di un altro assolto in Piemonte. Un aneddoto arriva, invece, dai verbali del pentito Antonino Scollo: «A Picanello, in un’occasione, mi portò in un negozio di giocattoli, vicino a un chiosco bar che era il luogo di riunione del suo gruppo e io presi, senza pagare, diversa merce».
Durante la perquisizione dei militari del Ros, dentro l’appartamento in cui Dato trascorreva la latitanza, sono state trovati un passamontagna, ricetrasmittenti, taglierini e fascette. Materiale finito tutto sotto sequestro. I suoi complici, tutti catanesi, sono stati denunciati mentre Dato è stato condotto nel carcere di Rieti. Nel processo di primo grado, scaturito dall’inchiesta Fiori BIanchi, Dato era stato condannato a sei anni nel 2014. Poi scesi a quattro, dopo il secondo grado.