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«Riportiamo gli emigranti a vivere qui»

Il candidato del Movimento 5 Stelle, Federico D’Incà, parla delle difficoltà e dei programmi per la montagna

di Irene Aliprandi
3 minuti di lettura

BELLUNO. Il candidato di punta del Movimento 5 Stelle è Federico D’Incà. Deputato uscente, 42 anni, laureato in economia, una moglie e una figlia di 18 mesi, D’Incà è il primo nella lista del proporzionale alla Camera e il biglietto da Trichiana a Roma è praticamente scontato anche per il prossimi cinque anni.

D’Incà, il M5S sta vivendo una campagna elettorale piena di insidie, a partire dall’addio di Beppe Grillo. Perché se n’è andato proprio ora?

«Da molto tempo Grillo aveva chiarito che avrebbe fatto un passo indietro. Nel 2013 ha aiutato il movimento ad entrare in Parlamento, ma ora vuole che ci muoviamo da soli. Siamo pronti ad affrontare la sfida con autorevolezza e competenza per il bene del Paese».

Anche lo scandalo dei rimborsi è un colpo duro. Quanti eletti perderà il vostro gruppo parlamentare dopo le espulsioni? Com’è scoprire che i disonesti si annidano in ogni casa?

«I futuri eletti fuori dal Movimento sono 4, gli altri sono candidati in posizioni meno sicure. Berlusconi ha aperto il mercato delle vacche: è facile immaginare dove andranno quei parlamentari. Noi siamo i primi a rattristarci per la questione dei rimborsi, perché abbiamo vissuto fianco a fianco con quei colleghi. Quello che è successo, però, ha permesso agli italiani di sapere che il M5S ha versato 23 milioni di euro a favore del microcredito, io arriverò a 190 mila euro. Noi abbiamo capito che dobbiamo verificare di più le situazioni interne. Poi è chiaro, dalla tempistica, che c’è stato un attacco pre elettorale».

Il M5S si scaglia spesso contro i giornalisti, ma tutti gli studi dimostrano che la maggior parte delle fake news è a vostro favore. Davvero sognate un mondo senza giornali e di notizie fai da te?

«Le fake news sono un problema, sia quelle a favore che contro di noi, e abbiamo intrapreso una campagna per combatterle. Il problema è mondiale, ovunque si cerca di screditare le persone pubbliche. Nel nostro Paese però c’è un problema anche di pressioni sulla stampa. Spesso i giornali appartengono a gruppi di potere che non concedono loro effettiva libertà. In Veneto, in questi giorni, si parla di più di un commento in chat che dei nostri programmi. Se è vero che l’informazione è la guardia del potere, allora perché non si scrive che Niccolò Ghedini (Fi) ha meno dell’1% di presenze in Parlamento?».

Alcuni esponenti del M5S hanno posizioni preoccupanti sui vaccini e sull’Europa. Lei cosa ne pensa?

«Io sono europeista, ma di un’Europa senza situazioni tipo Embraco, senza finanziarie che comprano le nostre imprese per poi distruggerle passando per il Lussemburgo (vedi Ideal Standard). Questa non è la mia Europa. Servono regole certe. In Italia ci sono mille grandi aziende che vanno assolutamente protette (come tutte del resto) da chi vuole venire qui a spolparle. Per quanto riguarda i vaccini, io sono per la massima copertura vaccinale. Mia figlia a 18 mesi ne ha fatti 12, cioè più dei dieci obbligatori e nel corso della legislatura mi sono battuto per rendere gratuito il vaccino contro l’encefalite da zecche».

Su quali argomenti si è impegnato di più in questi cinque anni a Roma?

«Mi sono battuto contro la speculazione delle centraline idroelettriche, che considero l’appropriazione di un bene comune. Senza acqua nei torrenti bellunesi le Dolomiti si impoveriscono, il turismo ci rimette e rischiamo il titolo Unesco. Ho messo grande impegno anche nella campagna referendaria per l’autonomia del Veneto e di Belluno. Il legislatore dev’essere più vicino possibile al territorio per comprenderne le difficoltà. Stare a Roma non permette di capire le aree marginali, che invece sono quelle con i bisogni più complessi. Inoltre, mentre a Roma abbiamo detto no alle Olimpiadi, che sarebbero diventate una nuova opportunità di corruzione, a Belluno ho detto sì ai Mondiali di Cortina 2021. Ho parlato con i cittadini, i sindaci e Anas e continuerò il mio impegno affinché si realizzino opere vicine alle esigenze del territorio e senza speculazioni. Per l’Alemagna manca ancora il nodo di Longarone e bisogna pensare ad uno sbocco a Nord. Con la ferrovia. Io sono contrario al prolungamento dell’autostrada, mentre credo nella necessità di elettrificare la ferrovia fino a Calalzo».

Qual è, secondo lei, il problema maggiore da risolvere nel bellunese?

«Lo spopolamento. Bisogna mantenere l’identità culturale e combattere la lenta eutanasia del territorio. Noi proponiamo la defiscalizzazione per le attività commerciali, più sostegno alle famiglie e sinergie con i territori vicini. Sarebbe utile riportare qui gli emigranti e i loro discendenti. Sono persone già legate a Belluno e di cultura simile alla nostra. L’iniziativa deve coinvolgere anche le aziende, perché la manifattura bellunese sta perdendo personale qualificato e ne ha assoluto bisogno».

Come immagina l’autonomia bellunese?

«Con sinergie sempre più forti con Trento e Bolzano, con le quali dovremmo puntare a creare un’area vasta: la Regione Dolomitica, che comprenda il territorio delle Dolomiti Unesco, in un’ottica di rafforzamento del turismo. L’uomo ha messo i confini, ma le montagne non hanno confini. Gli uomini delle Dolomiti devono pensare insieme a come fermare la discesa a valle».

Lei è stato anche vice presidente della Commissione d’inchiesta sul digitale nella pa. Quant’è importante l’innovazione per la montagna?

«Fondamentale. Io sono favorevole alle esperienze all’estero per i nostri giovani, ma poi vorrei che tornassero trovando aziende di respiro internazionale stimolate da un ambiente bellissimo e da borghi storici di grande pregio culturale, che dovremmo recuperare e valorizzare di più. Lavorare circondati da un ambiente così stimola la creatività. Per realizzare tutto ciò, però, dobbiamo portare la banda larga in ogni frazione».

Dall’elettrodotto ai pesticidi dei vigneti, il nostro ambiente è continuamente minacciato. Lei cosa ne pensa?

«L’elettrodotto deve essere interrato. Migliorare le linee va bene, ma non così. Per l’agricoltura credo nel biologico e nella necessità di un marchio unico bellunese. I nostri terreni sono ancora incontaminati, l’intera Valbelluna può diventare un grande distretto bio».



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