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Caso di artrite invalidante nel Feltrino, nel mirino c’è una zecca

Una donna cinquantenne si è dovuta sottoporre a cicli di riabilitazione a Lamon. Un anno fa era stata morsa da un acaro ma non aveva sviluppato eritema

Laura Milano
2 minuti di lettura

FELTRE. Fanno deporre per un caso di Lyme, la malattia trasmessa dal morso della zecca infetta, i sintomi di cui soffre una donna che si è sottoposta al secondo ciclo di riabilitazione a Lamon per un’artrite invalidante. La donna, che ha una cinquantina d’anni, quando si sono manifestati i sintomi è stata ricoverata in neurologia dove si sono fatte le analisi del sangue e del siero e si è confermata una positività degli anticorpi. Ma la difficoltà, tipica di queste diagnosi, è tuttora quella di capire a quando risalga l’infezione.

La donna, che abita nel Feltrino da qualche anno, ha riferito di essere stata morsa da una zecca un anno fa e di non aver notato l’eritema migrante che è il primo sintomo a comparire, otto volte su dieci. Così la malattia è progredita sotto forma di stanchezza profonda e mal di testa. Il medico curante ha disposto il ricovero in neurologia dove è stata esclusa la presenza di meningoencefalite, ma è stato somministrato il ciclo antibiotico per la positività anticorpale.

Ma la forma ha avuto un’evoluzione ulteriore, più grave, la comparsa dell’artrite. I sanitari che l’hanno in cura puntano sul pieno recupero della funzionalità motoria. Per un anno, però, la donna che non riusciva nemmeno più a camminare è stata malata.

Il dubbio clinico che resta è quello sul luogo dell’infezione contratta dalla donna, che potrebbe essere rimasta latente per anni o essere invece stata scatenata dalla zecca da cui è stata morsa nelle nostre campagne un anno fa.

Se così fosse, con le migrazioni degli ungulati che si spingono anche a ridosso dei centri urbani e con le modificazioni del clima, non ci sarebbero luoghi della Pedemontana immuni dalla presenza di zecche in grado di inoculare la spirocheta infetta, la borrelia burgdorferi.

La prevenzione è dunque d’obbligo. E prevenzione non significa precipitarsi in pronto soccorso ogni volta che si sente e si vede la zecca addosso.

«Quasi tutti i giorni ci sono pazienti che arrivano da noi per morso di zecca», spiega il primario del Pronto soccorso, Edoardo Rossi. «Sono spaventati perché quando strappano l’acaro dalla pelle con la corretta modalità della pinzetta avvicinata il più possibile alla testa dell’acaro, notano la presenza del rostro. Questo è un falso allarme. La parte terminale della zecca, cioè quella che rimane sottopelle, in pochi giorni si atrofizza e si stacca da sola. Quello che invece va osservato, dai tre ai trenta giorni dopo il morso, è se compare eritema. Non può essere confuso con l’arrossamento del morso, perché l’eritema assomiglia a un sasso nello stagno. È solo se compare eritema che si va dal medico curante. L’esame del sangue è inutile e può essere ingannevole, perché in fase precoce può dare false negatività. L’antibiotico invece è utile. Si somministra un antibiotico comune per tre settimane».

Questo succede se si debella in fase precoce l’infezione. Può succedere invece che vi sia una disseminazione infettiva, a distanza di settimane o di mesi, se non è comparso eritema (cosa rara) o se si sono sottovalutati i segnali. «In questi casi si può andare incontro a sintomi neurologici o articolari importanti con una disseminazione di eritema sul corpo», continua il primario Rossi.


 

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