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Scuola, il Veneto con metà studenti vuole 5 miliardi come la Lombardia

PADOVA. Autonomia e federalismo delle regioni, che differenza c’è tra il Veneto leghista di Luca Zaia e la Lombardia leghista di Roberto Maroni? La risposta che giunge da Roma è molto chiara: l’ex...

di Albino Salmaso
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PADOVA. Autonomia e federalismo delle regioni, che differenza c’è tra il Veneto leghista di Luca Zaia e la Lombardia leghista di Roberto Maroni? La risposta che giunge da Roma è molto chiara: l’ex ministro degli Interni del Carroccio ha ottime possibilità di firmare l’intesa tecnica con il governo sulla devolution, insieme a Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna, prima della fine della legislatura. Il Veneto di Zaia rischia invece di trovare la porta sbarrata perché la richiesta di trattenere i 9/10 delle tasse non è materia negoziabile in quanto il bilancio dello Stato è materia esclusiva del governo e del parlamento, che esercita il suo potere di indirizzo e controllo ogni anno con l’approvazione della legge di stabilità. Il sottosegretario Gianclaudio Bressa l’ha detto chiaro e tondo: il tavolo del negoziato avviato con le regioni a Roma non può essere scambiato per un bancomat, dove ogni presidente porta a casa quello che vuole.

Martedì si va in aula a Venezia.

Il teorema non cambia: martedì in consiglio regionale Roberto Ciambetti porterà la stessa proposta licenziata dalla giunta Zaia il 23 ottobre ed esaminata la scorsa settimana con le categorie economiche a palazzo Ferro Fini. Spinto dal mandato del referendum, il Veneto chiede le 23 competenze previste dall’articolo 116 della Costituzione con relativa copertura finanziaria stimata in 18,8 miliardi di euro, pari ai 9/10 del gettito Iva Ires Irpef. In questa maniera ottiene di fatto «lo stesso livello di autonomia della provincia di Bolzano». Se il no di Bressa appare scontato perché Zaia non cambia strategia? Perché sul “no” di Roma la Lega intende costruire la campagna elettorale del 2018 e tirare così la volata a Matteo Salvini premier. Gli avversari più agguerriti in Veneto sono i grillini che non a caso sono per l’autonomia al 100%, mentre il Pd ora prepara le barricate, dopo il “sì critico” al referendum.

Maroni bipartisan.

Qui si apre uno scenario tutto interno al centrodestra. Maroni ha ribadito che non vuole tornare al Viminale in caso di vittoria di Lega e FI a maggio 2018, intende restare a Milano per riaffermare il ruolo della Lombardia unica vera regione europea in grado di ottenere l’Ema, l’agenzia europea del farmaco dopo la Brexit: la vera concorrente da battere è Amsterdam. Maroni sull’autonomia ha costruito una santa alleanza bipartisan, il Pd ha votato la risoluzione unitaria diventata un distillato di pragmatismo e il negoziato giovedì prossimo farà tappa a Bologna e lunedì 20 a Milano. La Lombardia non ha quantificato le risorse, anche se i numeri sono parte integrante del dossier. Così si scopre che la “devolution” della Pubblica istruzione ha un costo teorico di 5,4 miliardi, che diventano 2,5 per l’Emilia Romagna: si tratta di soldi destinati a pagare gli stipendi del personale.

Il confronto con il Veneto.

L’efficienza di Palazzo Balbi ha regalato un miracolo contabile che merita l’analisi in un master B&A di pubblica amministrazione alla Bocconi. Il fabbisogno per la Pubblica istruzione è stato quantificato in 4,9 miliardi, quasi come la Lombardia con una piccola differenza: il Veneto ha 598 mila studenti e la Lombardia il doppio, cioè 1 milione e 145 mila. Nei pdl 16-17-18 della IX legislatura nel 2012 gli stipendi del personale della scuola erano calcolati in 3,3 miliardi e la somma delle 23 funzioni da negoziare con lo Stato aveva la modica cifra di 5,4 miliardi. Briciole.

Al ministero delle Regioni, quando hanno ricevuto il dossier consegnato venerdì a Venezia, hanno allargato lo scenario alla Sicilia perché la cassa del Mef è sempre la stessa e le chiavi le ha Daniele Franco, Ragioniere generale dello Stato. Calato il sipario sul voto, il neo governatore Nello Musumeci ha detto che non bastano 500 milioni di bonus sulle accise ma pretende che il governo gli versi i 7-8 miliardi tagliati a Crocetta. Parole che sono musica per il team di Salvini, reduce dal trionfo a Palermo, ma che mal si conciliano con il verbo di Zaia, secondo cui la Sicilia “ne ciucia el sangue” con i 10/10 di tasse e i 4,5 miliardi di deficit, i 28 mila forestali, i 13 mila dipendenti e 1700 dirigenti. Pagati con il “residuo fiscale” e “i schei dei veneti” che regalano 20 miliardi l’anno a Roma....

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