Decaro: «Mafia troppo sottovalutata,dico no alle scarcerazioni facili»

diBepi Castellaneta

Il sindaco di Bari dopo l’allarme della Dia che registra la presenza in Puglia di 139 clan
«Sono un punto di riferimento per chi chiede legalità , ma non sono uno sceriffo»

Antonio Decaro, lei oltre che sindaco di Bari è anche presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani. Dall’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia sulla Puglia si scopre che ci sono 139 clan in 115 città della regione, una ragnatela criminale che colpisce quasi un comune su due: come è stato possibile arrivare a questo punto?
«Penso che abbia pesato una sottovalutazione del fenomeno».
Vale a dire?
«Per molto tempo, si è rimasti fermi nella convinzione che in Puglia, a differenza di altre zone del Sud Italia, la criminalità fosse di tipo non organizzato».
Per quale motivo?
«Perché qui, fatte alcune eccezioni soprattutto in provincia di Foggia, le cosche tendono a evitare azioni cruente e seguono invece una strategia più levantina, tipica del territorio».
Per esempio?
«Nei casi di estorsione si preferisce prospettare la convenienza di un affare: come l’assunzione di un vigilante o la fornitura di materiale per un’impresa».
Tutto questo ha evitato che si creasse allarme sociale?
«Non solo, ha anche determinato una errata percezione di un fenomeno molto più esteso».
Le indagini però ci sono sempre state. È mancata una risposta a livello politico?
«Non direi. È più giusto affermare che è mancata una risposta a livello di comunità: l’azione di contrasto deve essere collettiva, globale».
In una comunità, però, può prevalere la sfiducia se chi viene arrestato esce dopo pochi giorni.
«Per rimediare si dovrebbero cambiare subito due leggi: la cosiddetta “svuota carceri” e quella sull’attualizzazione delle esigenze cautelari».
Lei si è particolarmente esposto in prima persona sul fronte della legalità.
«Non me lo sarei mai aspettato. Durante la campagna elettorale ripetevo che non avrei fatto mica il sindaco di New York».
Poi che cosa è accaduto?
«La questione sicurezza mi è piombata addosso».
In che senso?
«Ho constatato che intere zone della città erano controllate da gruppi criminali, che si dividevano persino il controllo delle attività abusive».
Si riferisce ai disordini durante la festa di San Nicola del 2016?
«Sì, avevamo predisposto gli spazi per i commercianti ambulanti, ma una donna ha rifiutato di spostarsi perché in quella zona non la volevano. E così siamo intervenuti affermando un principio di legalità».
Cosa avete scoperto?
«Che ogni quartiere aveva la sua area ben precisa, una spartizione del territorio in occasione di un grande evento».
Da allora la sua battaglia è proseguita: pochi giorni fa ha consegnato alla polizia i proiettili lasciati dai clan come intimidazione al mercato di corso Mazzini. Si sente isolato o sostenuto dalla città?
«So di non essere solo. La gente si è schierata per il rispetto delle regole».
Per la verità lei ha ricevuto pesanti minacce e vive sotto scorta.
«È vero, ma nel complesso questa è una comunità sana. E sono orgoglioso dell’imprenditore che mi ha raccontato il tentativo di estorsione per la sistemazione dell’albero di Natale in piazza del Ferrarese, di chi mi ha mostrato i proiettili e di tutti gli altri che hanno avuto il coraggio di parlare e ribellarsi a queste situazioni».
Resta il fatto che Bari è in fondo alle classifiche sulla sicurezza e la gente ha paura.
«Va fatta una distinzione tra percezione di insicurezza e insicurezza reale. I reati sono calati del 30%, ma sia chiaro: questo non vuole dire che non si debba intervenire ancora».
In che modo?
«Riqualificando i quartieri, recuperando zone abbandonate, creando nuovi spazi». Da dove pensa di cominciare?
«Dal rione Libertà, dove mancano luoghi di aggregazione».
E dove decine di tuguri trasformati in case vengono affittati in nero ai migranti.
«Ci sono controlli in corso. È evidente che anche questi sono fenomeni gestiti in qualche modo dalla criminalità organizzata».
Il restyling urbanistico comunque non sempre basta: è il caso di piazza Cesare Battisti.
«In realtà in quella zona le cose sono migliorate, resta invece il problema dello spaccio di droga in piazza Umberto».
Sul fronte della repressione però c’è da fare i conti con le carenze di organico delle forze dell’ordine.
«Tuttavia Bari è una città ben controllata. E abbiamo attivato 190 telecamere comunali che si sono rivelate preziose in molte indagini».
Lei è diventato un punto di riferimento diretto per la gente che invoca sicurezza e legalità. Ma qualcuno l’ha anche criticata per i video, gli appelli sul web, insomma per quella che viene considerata una sovraesposizione mediatica. E c’è chi l’ha etichettata come sindaco sceriffo. Come risponde?
«Non so come si possa associare la mia figura a quella di uno sceriffo. In realtà le mie denunce sono pubbliche per un semplice motivo: se il primo cittadino chiede alla gente di collaborare non può certo restare in silenzio».

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9 febbraio 2018 2018 ( modifica il 9 febbraio 2018 2018 | 17:54)