La Corte d’Appello: non ci fu summit tra i mafiosi e Lombardo

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Le motivazioni della sentenza con la quale l’ex governatore è stato assolto dall’accusa di concorso esterno. Confermata invece condanna per voto di scambio politico-mafioso

«Il summit tra i vertici mafiosi e Raffale Lombardo è un fatto assolutamente privo di riscontro probatorio», scrive la Corte d’appello di Catania nelle motivazioni con cui il 31 marzo scorso ha assolto l’ex governatore siciliano dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Errata anche la collocazione temporale assegnata dal Gup al presunto incontro, cioè il giugno del 2003, a casa di Lombardo. Infatti Carmelo Puglisi, che secondo le dichiarazioni del boss pentito Santo La Causa sarebbe stato presente, «nell’estate del 2003 era ancora detenuto», si legge nella sentenza, che ha riformato la decisione di primo grado, col rito abbreviato, di condanna a sei anni e otto mesi, emessa il 19 febbraio 2014 del Gup Marina Rizza. La Corte conferma invece, il reato di corruzione elettorale che avrebbe favorito la mafia, che, scrivono i giudici, «non si muove con l’intimidazione, ma comprando i voti con soldi o buoni per la spesa o promettendo favori». Per questa accusa Lombardo è stato condannato a due anni, pena sospesa.

Le accuse

L’inchiesta su Lombardo era nata da uno stralcio dell’indagine Iblis dei carabinieri del Ros di Catania. Al centro dell’azione degli investigatori, i presunti rapporti tra Cosa nostra con la politica e gli imprenditori. Ed è in quelle indagini che spunta il nome dell’ex governatore della Sicilia. Lombardo, secondo i magistrati, avrebbe richiesto il sostegno di alcuni mafiosi per ottenere voti alle regionali. Sfruttando contatti, poi sfociati anche in un summit, con alcuni boss della cosca Santapaola-Ercolano. La tempesta giudiziaria di abbatte su Lombardo anche a seguito delle intercettazioni telefoniche, nelle quali ci sono boss che fanno il suo nome, e delle deposizioni di alcuni collaboratori di giustizia. Tra i quali Maurizio Di Gati, capomafia dell’agrigentino, ma anche il boss Enzo Aiello, al vertice del clan Santapaola, intercettato mentre parla con il geologo Giovanni Barbagallo. Ma ancora più diretta era stata l’intercettazione di un dialogo di Rosario Di Dio, ritenuto il boss di Ramacca. «La sera prima delle votazioni – aveva detto Di Dio– avevo la sorveglianza speciale, è venuto qua con suo fratello Angelo, si è mangiato otto sigarette, gli ho detto: Raffaele, ma io che ho la sorveglianza speciale, come ci vado a cercare le persone e andargli a dire … Lo posso fare domani, ormai questa sera è troppo tardi. Domani alle sei di mattina mi metto all’opera, chiami a tuo fratello Angelo, ce ne andiamo a Catania».

I legali: soddisfatti, in Cassazione cadranno anche altre accuse

I legali di Lombardo, gli avvocati Alessandro Benedetti e Filippo Dinacci, hanno espresso «soddisfazione per le motivazioni della sentenza della Corte di Appello di Catania. «La nuova sentenza - osservano - ribalta di fatto il giudizio di primo grado. Allora c’era il concorso esterno e non sussisteva il voto di scambio. Non sussiste oggi il concorso esterno e compare il voto di scambio aggravato». La sentenza di appello, secondo i difensori, «rende giustizia delle tante fantasiose ricostruzioni operate dal giudice di primo grado facendo verità sui nodi più spinosi del processo». «Dimostreremo in Cassazione - aggiungono annunciando il ricorso alla Suprema Corte - l’insussistenza anche delle residuali accuse ancora a carico di Raffaele Lombardo».

I rapporti con Ciancio

Sempre secondo il collegio giudicante, sottolineano gli avvocati, «non esiste riscontro alcuno per il summit mafioso che sarebbe avvenuto nella casa di campagna di Lombardo tra il 2003 e il 2004 o per l’incontro svoltosi tra lui, Di Dio e Angelo Santapaola in occasione delle elezioni del 2006. In particolare i giudici hanno ritenuto Rosario Di Dio inattendibile e il suo racconto destituito di fondamento». Infine, rilevano i legali dell’ex governatore, «la Corte ha smentito radicalmente la tesi circa i presunti rapporti illeciti intercorsi tra Raffaele Lombardo e l’editore Ciancio ed ha in numerose circostanze evidenziato come, non solo non esiste nessuna prova dei favori fatti da Lombardo a mafiosi, ma, al contrario, esiste la certezza processuale contraria: ogni qualvolta un mafioso avrebbe chiesto - direttamente o indirettamente - un favore all’ex Presidente della Regione, egli puntualmente ha deluso qualsiasi tipo di aspettativa». Il Collegio giudicante, concludono gli avvocati Benedetti e Dinacci, «invece, ha ritenuto che ci fossero rapporti tra il Lombardo e i signori Barbagallo, Aiello e La Rocca e che questi si siano adoperati nella raccolta di voti in suo favore nelle elezioni del 2008 in cambio della generica promessa di favori che la stessa Corte riconosce non essere mai stati fatti».

9 ottobre 2017 2017 ( modifica il 10 ottobre 2017 2017 | 08:28)