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«Genesi», l’altro Salgado a Napoli

diLuca Marconi

In mostra fino al 28 gennaio oltre duecento scatti dall’atlante antropologico del grande fotografo brasiliano, in città per l’apertura con incontro-intervista al Maschio Angiono. Salgado: «Il pianeta è a rischio, vi mostro la metà che è salva»

NAPOLI - «Un fotografo è letteralmente qualcuno che disegna con la luce, un uomo che descrive e ridisegna il mondo con luci e ombre... non immaginavo che stavo per scoprire molto più di un semplice fotografo, una cosa l’avevo già capita di questo Salgado, gli importava davvero della gente, dopotutto la gente è il sale della terra». Come ha saputo raccontare il regista Wim Wenders nell’imperdibile “Il Sale della Terra” - il Cinema che ritrae la Fotografia - il lavoro di Salgado, nel suo insieme e sino al compimento, che è una riconciliazione con la vita e la natura nel ritrovare la pace della casa d’origine - recuperata persino nella vegetazione che la circondava negli anni dell’infanzia, da qui poi l’impegno ambientale per l’intera Mata Atlântica - per la sensibilità unica e la capacità di rappresentare quanto di più misero o feroce può esserci nella condizione umana è spesso accostato alla pittura, magari del Seicento ma degli autori come Caravaggio o che hanno lasciato testimonianze delle successive epidemie di peste, sino ai più moderni artisti dell’angoscia (si è scritto di Schiele o Munch ad esempio intravisti nelle mani aggrovigliate di una donna africana prossima alla morte per fame) ed ora Salgado è a Napoli, proprio a due passi dalle Sette Opere di Misericordia di Michelangelo Merisi, che forse in quell’ostinazione per gli ultimi e i dettagli che raccontano le pieghe più feroci della sua epoca tanto gli assomiglia (certamente Caravaggio non dipinge in bianco e nero, eppure specialmente nell’ultima produzione usava i colori su uno sfondo bituminoso che conferiva all’opera un’aura decisamente oscura). Invece l’ultima mostra del brillante economista brasiliano che preferì raccontare il mondo con la fotografia, che occupa due piani del Palazzo delle Arti di Napoli (fino al 28 gennaio) è una ri-nascita, dagli scatti della disperazione delle genti più derelitte del mondo, Europa compresa, «Genesis» è un tentativo di salvataggio del pianeta.

«Genesi», l’altro Salgado a Napoli

Dal «più importante fotografo documentarista del nostro tempo» giunge questa volta «uno sguardo appassionato teso a sottolineare la necessità di salvaguardare il nostro pianeta, di cambiare il nostro stile di vita, di assumere nuovi comportamenti, di conquistare una nuova armonia, un viaggio alle origini del mondo per preservarne il futuro».

«Genesi», l’altro Salgado a Napoli

Non si tratta di una comune presa di posizione ecologista, ma di una convinzione maturata “sul campo”, nel dolore dell’assistere le genti più disgraziate del pianeta, dolore pericolosamente vicino alla follia per le più terribili esperienze in Africa, dove ha speso 30 anni raccontando gli effetti delle guerre, della povertà e delle carestie, esodi e sterminii tra Chad, Mali, Eritrea, Etiopia e Ruanda, con i Medici senza Frontiere nel Sahel al seguito di minoranze in fuga da lotte tribali e abbandonate alla fame. O sullo stesso territorio europeo, ritraendo genti dalle abitudini occidentali patire la stessa fame o la stessa fine in Bosnia, nella guerra che ha affondato per prima il sogno “meridiano”, l’utopia del Mediterraneo-ponte d’Europa sul resto del mondo. «Siamo animali molto feroci, terribili, noi umani, sia qui che in Europa che in Africa che in America Latina dappertutto siamo di una violenza estrema» racconta Salgado, «la nostra è una storia di guerre senza fine, una storia di repressioni folle».

Questo nuovo lavoro, enorme per mole e tempo dedicatogli (dieci anni) nasce dopo un lungo periodo di inattività quando Salgado, occupandosi con successo della terra che circonda la casa paterna - che fu disboscata e quindi desertificata, per pagargli gli studi da ragazzo - si lascia convincere dalla compagna di vita di «poter realizzare un nuovo progetto fotografico legato all’ambiente» e pensa prima a campagne per la conservazione di foreste e oceani, poi, «con mia moglie abbiamo pensato a un progetto diverso, un omaggio al pianeta e con sorpresa abbiamo scoperto che quasi la metà del pianeta è ancora come nel giorno della Genesi, allora ho cominciato dalle Galapagos, volevo capire quello che Darwin aveva capito sulla evoluzione delle specie». E oltre. «Guardo la zampa di una iguana e non posso non pensare alla mano di un guerriero del medioevo, quelle scaglie come metalliche per proteggersi... al cospetto di una testuggine ho capito che c’è una parentela, in questo animale così vecchio che lo stesso Darwin potrebbe aver incontrato».

«Genesi», l’altro Salgado a Napoli

«Genesi», scrive Lélia Wanick Salgado, «è la ricerca del mondo delle origini, come ha preso forma, si è evoluto, è esistito per millenni prima che la vita moderna accelerasse i propri ritmi e iniziasse ad allontanarci dall’essenza della nostra natura. È un viaggio attraverso paesaggi terrestri e marini, alla scoperta di popolazioni e animali scampati all’abbraccio del mondo contemporaneo. La prova che il nostro pianeta include tuttora vaste regioni remote, dove la natura regna nel silenzio della sua magnificenza immacolata; autentiche meraviglie nei Poli, nelle foreste pluviali tropicali, nella vastità delle savane e dei deserti roventi, tra montagne coperte dai ghiacciai e nelle isole solitarie. Regioni troppo fredde o aride per tutto tranne che per le forme di vita più resistenti, aree che ospitano specie animali e antiche tribù la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento. Fotografie che aspirano a rivelare tale incanto, un tributo visivo a un pianeta fragile che tutti abbiamo il dovere di proteggere».

«Genesi», l’altro Salgado a Napoli

La mostra nata da «un viaggio alla scoperta della bellezza nei luoghi più remoti del pianeta», curata da Lélia Wanick Salgado su progetto di Contrasto e Amazonas Images (a Napoli con Civita e Assessorato alla Cultura) è in tour internazionale. Il progetto iniziato nel 2003 e durato 10 anni è definito «un canto d’amore per la terra e un monito per gli uomini»: 245 immagini in bianco e nero ne ricompongono l’itinerario in cinque sezioni: “Il Pianeta Sud”, “I Santuari della Natura”, “l’Africa”, “Il grande Nord”, “L’Amazzonia” e “Il Pantanàl”. Questa volta ci sono paesaggi, natura, ma da «un mondo in cui esseri viventi sono in equilibrio con l’ambiente»; animali nel loro habitat, come nelle Galapagos tra tartarughe giganti, iguane e leoni marini o zebre ed elefanti che attraversano il Kenya e la Tanzania rispondendo al richiamo annuale della migrazione; poi popolazioni indigene vergini: gli Yanomami e i Cayapó dell’Amazzonia brasiliana; i Pigmei delle foreste equatoriali nel Congo settentrionale; i Boscimani del deserto del Kalahari in Sudafrica; le tribù Himba del deserto della Namibia e quelle più remote delle foreste della Nuova Guinea. Salgado ha trascorso diversi mesi con ognuna di queste comunità finché gli stessi indigeni si sono offerti («la fotografia è anche offerta») per mostrarsi naturalmente in armonia col proprio habitat.

«Genesi», l’altro Salgado a Napoli

Ritratti mentre nuotano, cacciano o tagliano la legna chiacchierando come comuni boscaioli; o mentre ricavano farina da un tronco d’albero commestibile o spingono renne nel ghiaccio come noi le pecore o fumano tabacco nella loro capanna come noi occidentali facciamo coi vestiti addosso in case più calde, anche in questi luoghi impenetrabili Salgado scova una “parentela” come tra uomini e animali, ma per l’uomo “contro” uomo è ancora più facile, perché «siamo una sola specie derivante dall’homo sapiens e non esistono soluzioni per la sopravvivenza se non sono per tutti», è il pensiero di Salgado alla base dell’enorme lavoro di una vita sui rapporti di potere che governano il pianeta facendone scempio per i posteri. Lavoro che continua, in Amazzonia, racconta per più di due ore al Maschio Angioino, presentando questo «atlante antropologico» che lancia nel contempo un avviso perché lo sviluppo non sia necessariamente sinonimo di distruzione. La mostra è aperta tutti i giorni dalle 9,30 alle 19,30 (info: www.mostrasalgadonapoli.it). Un unico appunto va fatto sull’allestimento partenopeo e già milanese: non sempre le foto sono ben montate nelle cornici protette da vetri che, anche a causa della illuminazione troppo forte delle sale espositive del Palazzo delle Arti di Napoli, impediscono di poterle osservare come si dovrebbe e in un caso è intervenuto lo stesso Salgado, durante l’inaugurazione, ordinando di capovolgere la fotografia di un gabbiano che era stata montata al contrario. Ma resta intatto l’incanto degli scatti paradossalmente resi più realistici da un bianco e nero intenso e soprattutto da regioni per lo più irraggiungibili e inospitali, «un isolamento che ha preservato quasi la metà del pianeta».

«Genesi», l’altro Salgado a Napoli

Sebastião Ribeiro Salgado nasce l’8 febbraio 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais, in Brasile. A 16 anni si trasferisce a Vitoria dove finisce le scuole superiori e intraprende gli studi universitari. Nel 1967 sposa Lélia Deluiz Wanick. Dopo ulteriori studi a San Paolo, i due si trasferiscono a Parigi e poi a Londra, dove lavora come economista per l’Organizzazione Internazionale per il Caffè. Nel 1973 torna insieme alla moglie a Parigi per intraprendere la carriera di fotografo lavorando prima come freelance e poi per le agenzie fotografiche Sygma, Gamma e Magnum, per poi mettersi in proprio creando l’agenzia Amazonas Images. Salgado da libero professionista per prima cosa racconta ciò che aveva visto quando era manager d’azienda, la filiera della produzione del caffé, partendo dalla manodopera; si occupa degli indios e dei contadini dell’America Latina; poi delle carestie e dei conflitti in Africa; tra il 1986 e il 2001 documenta la fine della manodopera industriale su larga scala con diecine di reportage venduti ad altrettante prestigiose riviste internazionali - finanziandosi di volta in volta il servizio successivo - che poi compongono “La mano dell’uomo”; successivamente compie la stessa operazione, in otto anni, sui movimenti di massa, con reportage su profughi, rifugiati o semplicemente i migranti verso le immense megalopoli del Terzo Mondo, servizi raccolti poi nell’album “In cammino”. Più recentemente con sua moglie ha creato nello Stato di Minas Gerais in Brasile l’Instituto Terra, che ha ripristinato la foresta equatoriale in una vasta area desertificata con la piantumazione di diecine di migliaia di nuovi alberi. “Dalla mia Terra alla Terra” è l’autobiografia recente (Contrasto) in cui racconta il suo ritorno in attività col progetto “Genesis”. E non è finita. A Salgado, prossimo ai 74, preme consegnare entro due anni un nuovo lavoro sulla foresta amazzonica e le sue tribù. Altra sfida ambientale e di sopravvivenza. «Ne va dell’equilibrio del nostro pianeta. Magari la nostra specie non è in grado di trovare una soluzione ed è programmata per finire, pensiamo all’India che ha ridotto enormemente il suo patrimonio forestale e così sarà per le sorgenti d’acqua che potrebbero non bastare più per la popolazione. Non siamo in grado di pensare alle generazioni future. Io da fotografo posso solo contribuire a fornire alcune domande la cui soluzione riguarda una sola e unica specie che deriva dall’homo sapiens, noi tutti». Al progetto “Genesis” è dedicata una monumentale pubblicazione edita da Taschen, 520 pagine per oltre 1000 illustrazioni.

«Genesi», l’altro Salgado a Napoli
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16 ottobre 2017 2017 ( modifica il 24 ottobre 2017 2017 | 13:27)