Biblioteca Nazionale di Napoli, beauty farm della cultura

diAlessandro Chetta

Patrimonio librario immenso reso ancor più bello dalla sede di Palazzo Reale. Tanti primati: dalla Sala dei papiri di Ercolano alla più ampia collezione di autografi di Leopardi. È costituita dalla somma di più biblioteche intorno all’originario Fondo Farnese. Ai piani superiori sale «pompeiane» e i trofei di caccia di Elena d’Aosta

Metteteli in fila - testi, cinquecentine, incunaboli, papiri, riviste, spartiti, canovacci, stampe, cartografie e manoscritti - arriverete sulle ultime isole del Giappone. La Biblioteca Nazionale di Napoli occupa, non si direbbe, l’intera ala est di Palazzo Reale: in pratica i tomi hanno idealmente sloggiato il re e la regina a cui restano i sontuosi Appartamenti; il resto sono libri. La Nazionale è diretta da Francesco Mercurio, foggiano di nascita ma napoletano di studi: somma un numero incalcolabile di beni anche perché attorno all’originario fondo farnese aggrega, per virtù di Benedetto Croce, altre cinque biblioteche, pubbliche e private. Se proprio chiedete numeri ci si può fermare ai principali: 1800 papiri della Villa dei Pisoni di Ercolano, la più antica del mondo (ovvero pervenutaci non smembrata benché carbonizzata); la raccolta di 11.000 volumi ed opuscoli del Fondo Aosta; le 1.800 fotografie della Lucchesi Palli su musica e teatro; circa duemila di manoscritti e 4.563 incunaboli.

Il direttore Mercurio

Mercurio è al timone da marzo: «Chi vuol conoscere la storia, la cultura, la civiltà di Napoli, intesa non solo come città ma come antico Regno, deve per forza passare da noi. Siamo imprescindibili custodi di una memoria importane - afferma il direttore - che ha segnato la storia dell’intera Europa. E non basta custodire e conservare, occorre far conoscere, trasmettere a tutti un tale patrimonio».

Cosmographia di Tolomeo, edizione decorata del '400

Cosmographia di Tolomeo, edizione decorata del '400

«Ingresso principale ancora chiuso. Va riaperto»

S’infervora quando gli domandiamo del cancello ad hoc che il sito reale riserva alla Biblioteca chiuso dagli anni Ottanta. Che poi sarebbe l’accesso dallo scalone monumentale aperto per 30 giorni appena nel giugno scorso, di sera, in occasione del Dopo-Teatro Festival. «È un mio grande cruccio - ragiona Mercurio - Sto provando a smuovere le acque, scrivendo diverse mail alla direzione del polo museale. Se il problema è nella presenza di custodi siamo disposti a distaccarne qualcuno dei nostri. Ma quell’ingresso è la nostra identità. Così siamo invisibili. Una casa su cui non si può mettere il nome, mi pare paradossale». La casa, come la chiama il direttore, è imbiancata: dai 400 dipendenti degli anni belli siamo a 180 e la maggior parte viaggia sulla sessantina (sic). L’ultimo concorsone risale a quarant’anni fa. Poi solo concorsini con posti per due o tre addetti alla volta.

La prima «nazionale» d’Italia

È stata la prima biblioteca italiana a essere dichiarata nazionale dopo l’Unità, oggi è la terza biblioteca dopo le Centrali Roma e Firenze, «ed è il più ricco giacimento dei tremila anni di storia napoletana» ricorda la vicedirettrice Mariolina Rascaglia, che incrociando locali e corridoi ci accompagna in Sala Manoscritti, preceduta dal trionfante Globo mappamondo del Coronelli. L’invito è a tralasciare il cabotaggio culturale per aprirsi al mare aperto di rarità qui stipate, che tutte vorremmo filmare, fotografare, scrutare, sfogliare, leggiucchiare, ammirare per ricordare. Sono una fossa cartacea delle Marianne, serve una super-cernita.

Ci illumina Leopardi: nella grossa teca in legno che occupa la stanza sono esposti alcuni suoi fogli (alcuni di diecimila: qui è conservata la più ampia collezione di autografi leopardiani; sono le carte rimaste a Ranieri e da lui passate, dopo aspre vicissitudini tra eredi e su decisione dirimente del capo dell’istituita commissione Giosuè Carducci, alla struttura napoletana. Zibaldone, «Il Canto notturno di pastore errante dell’Asia»; «A Silvia», a cui segue ancora il verbo sovvienti e non il definitivo rimembri. La Ginestra dettata a Ranieri; «L’infinito»; versi di scrittura piana, chiara, con lievi cancellature, una grafia tutt’altro che da spirito febbrile e inquieto, direbbe un perito).

Incisioni, mappe, xilografie, lettere d’argento

Si decide per quattro colossi. Con la certosina catalogazione li reperiamo subito. Il Vangelo purpureo, l’Esopo, una Cosmographia di Tolomeo manoscritto decorato del ‘400, la Flora.
Vanno spese due parole: il testo evangelico risale al V secolo dopo Cristo, millecinquecento anni orsono, è uno dei pezzi più antichi detenuti dalla Nazionale. Le pagine - spiega Maria Gabriella Mansi, accorsata funzionaria della Sezione manoscritti - venivano intinte nella porpora per far meglio risaltare le lettere in argento. Al mondo ne sopravvivono solo una decina di esemplari.
Le Favole di Esopo, tradotte in volgare, vennero stampate da Francesco del Tuppo, tipografo favorito dei reali aragonesi, con l’aggiunta di straordinarie incisioni xilografiche degli animali protagonisti del mito: è unanimemente considerato il più bel libro figurato apparso a Napoli in pieno Rinascimento.
Il libro d’ore detto «La Flora» (Horae beatae Mariae Virginis) è invece opera di un’officina della Fiandre del XV secolo destinato non all’aristocrazia ma a una casa borghese, evidentemente, vista la pregiata fattura, molto facoltosa: cento miniature di cui 36 a piena pagina.
Una vertigine provoca lo sfoglio della Cosmographia tolemaica. Si tratta dello scritto scientifico dell’astronomo alessandrino reso in latino nel ‘400 dal fiorentino Jacopo di Angelo de Scarperia. Un manoscritto corredato da ventisette mappe colorate d’oro, blu cobalto, azzurro e terra di Siena a rappresentare la Terra piatta prima dell’avventura di Colombo.

Biblioteca Nazionale di Napoli, beauty farm della cultura

Il trasloco a Palazzo

Com’è confluito il tesoro librario a Palazzo Reale? In origine il Fondo Farnese - creato su impulso di Alessandro, futuro Paolo III - traslocò dai possedimenti emiliani a Napoli, alla corte di Carlo III, insieme a pinacoteca e marmi. I volumi vennero sistemati prima, per poco tempo, nello stesso Palazzo Reale poi alla Reggia di Capodimonte e in seguito nel 1804 allo Studium, oggi Museo Archeologico. Infine, coi Savoia, la sistemazione attuale. Ai pezzi farnesiani Croce, come detto, si prodigò per aggiungere quelli della Brancacciana (libreria privata dei Brancaccio), San Giacomo, San Martino, la Palatina, la Lucchesi Palli del conte omonimo specifica per cimeli musical-teatrali.

Gli straordinari papiri di Villa dei Pisoni a Ercolano

Gli straordinari papiri di Villa dei Pisoni a Ercolano

Laboratorio di restauro

Un laboratorio di restauro del libro antico insiste nel Cortile delle Carrozze: dalla balconata della sala Reference (coi pc e la connessione internet) il colpo d’occhio è chiarificatore. «Entrambe le ali del corpo di fabbrica - precisa l’infaticabile ufficio stampa Lydia Tarsitano - sono della Biblioteca, compreso l’ultimo piano della facciata di fondo».

Papiri e giraffe imbalsamate

Non si finisce mai. Ai piani superiori si studiano i papiri prelevati dalla Villa dei Pisoni ad Ercolano, seppellita e quindi conservata dal Vesuvio - la più antica al mondo come libreria aggregata. Superate le stanze affrescate in stile pompeiano (a breve oggetto di un tour turistico dedicato) e l’ambiente gotico, si aprono gli spazi del Fondo Aosta, ovvero il poderoso lascito della principessa d’Orléans Elena di Francia duchessa d’Aosta, amatissima dai napoletani; la vulgata al tempo così si esprimeva: a Napoli comandano due sottane, Elena e ‘o cardinale. Elena spregiudicata pioniera di safari, un Hemingway in gonnella. Di estremo impatto - forse non per gli animalisti - la Sala Africa dei trofei di caccia col soffitto affrescato d’oro e tigri, giraffe, rinoceronti, elefanti, antilopi, gnu, zebre, leoni tassidermizzati, imbalsamati, alle pareti. Però ci sono anche tutti i suoi libri, un cospicuo malloppo, che mai si dica fosse solo frivola domatrice di belve feroci.

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30 settembre 2017 2017 ( modifica il 6 ottobre 2017 2017 | 12:51)