Camorra, il killer pentito che si tatua sul polso i nomi delle sue vittime

diFabio Postiglione

Napoli, un cuore spezzato a metà con due rose e le iniziali di una ragazza torturata e poi bruciata e di un giovane disabile ucciso per errore: è il tatuaggio del boss Gennaro Notturno. Due settimane fa gli hanno ucciso il nipote di 21 anni

Un cuore spezzato a metà, con due rose e due iniziali: una per Gelsomina Verde, la ragazza torturata, ammazzata e data alle fiamme a Sant’Antimo il 21 novembre del 2004, e un’altra per Antonio Landieri, il giovane ucciso per errore quindici giorni prima in un circolo ricreativo ai «Sette Palazzi» di Scampia. È il tatuaggio dell’orrore quello trovato sul polso sinistro di Gennaro Notturno, boss e killer che quel giorno, quando ammazzarono Antonio, faceva parte del commando di fuoco ed aveva tra le mani una mitragliatrice dalla quale partì una sventagliata che colpì il povero ragazzo. La vittima non fece in tempo a scappare perché era semiparalizzato alle gambe e quando sentì sparare restò immobile.

La faida

Il boss Notturno (a cui due settimane fa hanno ucciso per vendetta il nipote di 21 anni) nell’assalto di quella sera rimase ferito da un proiettile partito dalla pistola di un affiliato che nella foga di ammazzare i nemici non prese bene la mira. Quel giorno nessuno prese la mira e a morire fu solo il povero Antonio. «Su quella cicatrice ho fatto questo tatuaggio per ricordare quello che è successo» ha detto al pm della Dda di Napoli quando un mese fa ha deciso di pentirsi squarciando il muro di omertà che da sempre ha caratterizzato il clan di «Gomorra», quello che tra il 2004 e il 2005 dichiarò guerra ai Di Lauro per il controllo delle piazze milionarie dello spaccio di cocaina, hashish e marijuana, scatenando una delle faide più cruente della storia di Napoli: 84 omicidi in 10 mesi.

L’ordine di sparare

«Quando abbiamo saputo dell’omicidio di Antonio siamo rimasti dispiaciuti, io stesso ero lì quel giorno e forse proprio io l’ho ucciso con la sventagliata di mitra», ha detto ai pm che grazie alle sue dettagliate ricostruzioni hanno deciso di chiudere le indagini per una inchiesta che si era arenata, chiedendo pochi giorni fa il processo per otto tra boss e affiliati accusati dell’omicidio. «Eravamo in una villetta a Varcaturo dove già da tempo ci nascondevamo per organizzare gli omicidi con batterie di dieci uomini alla volta. Quella mattina l’ordine arrivò direttamente dal boss Raffaele Amato in persona che ci disse che dovevamo liberare il rione dei Sette Palazzi dai Di Lauro», ha raccontato Notturno.

L’obiettivo del clan

L’obiettivo era assassinare «Salvatore Meola che non volle passare con noi». Lui frequentava il circolo dove c’era anche Landieri, da tutti conosciuto con il soprannome di “’o Tì”. Come in una guerra si erano armati di «una mitragliatrice già usata per il duplice omicidio Montanino-Salierno e tre pistole 7,65». Erano in sei ma fallirono miseramente. «Fui ferito ad un polso, a curarmi ci pensò un medico amico di Amato che era a nostra disposizione, quando poi sono guarito ho fatto il tatuaggio». Notturno è un fiume in piena: «Chi mi ferì quel giorno per errore si chiamava Giovanni Moccia e a sua volta fu ucciso dagli Abbinante che lo avevano messo a disposizione in segno di fedeltà agli scissionisti, ma aveva sbagliato».

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30 settembre 2017 2017 ( modifica il 30 settembre 2017 2017 | 11:47)