Cucinelli alla Vanvitelli: «Il mio forte impegno per la dignità sul lavoro»

diBrunello Cucinelli

Lo stilista ad Aversa per il ciclo “Oltre le due Culture”. «Vedevo mio padre piangere quando rientrava dal lavoro»

Il grande sogno della mia vita è sempre stato quello di lavorare per la dignità morale ed economica dell’essere umano. Volevo che l’impresa facesse sì profitti ma con etica, dignità e morale fabbricando manufatti senza recare danni al creato o perlomeno meno possibili. Vivo e lavoro con la mia famiglia in questo piccolo borgo umbro trecentesco di nome Solomeo che ha dato i natali a mia moglie e che ascoltando il genius loci e la sapiente parola dei miei maestri ho restaurato in 30 anni di lavori cercando di realizzare il sogno di sentirmi custode pro tempore. Come immagina il mio grande maestro Adriano Imperatore quando dice «mi sento responsabile delle bellezze del mondo».

Ho vissuto la prima parte della mia vita in campagna, facevamo i contadini, lavoravamo la terra con gli animali, non avevamo elettricità, eravamo una famiglia numerosa e gioiosa, pensate che non ho mai visto i miei genitori litigare. Si lavorava, si pregava ed era forte il concetto della speranza. Ho negli occhi e nel naso le forme e gli odori di quella «terra madre di tutte le cose». Mio nonno alzando gli occhi al cielo spesso ripeteva una affascinante frase: «Che Dio ci mandi la giusta acqua, la giusta neve, il giusto vento». È lì dove ho capito il grande concetto della mia vita, il giusto equilibrio tra «profitto e dono».

Verso i 15 anni siamo andati a vivere vicino alla città e mio padre a lavorare in fabbrica, dove veniva umiliato ed offeso. Spesso ripeteva: «Che cosa ho fatto a Dio per essere umiliato?». Non ho mai capito perché si dovesse offendere un essere umano. Quindi ispirandomi a quegli occhi lucidi mi sono detto che nella mia vita avrei lavorato per un unico fine: «Dignità morale ed economica dell’essere umano». Verso i 17 anni sono rimasto affascinato da una grande espressione di Kant: «Agisci considerando l’umanità sia per te stesso che per gli altri non come semplice mezzo ma come nobile fine». Lì ho ritrovato quella legge morale di cui mio babbo mi ha sempre parlato. Su questi fondamentali ho costruito la mia vita.

Da 15 a 25 anni ho studiato, ma direi quasi niente. Erano gli anni della rivoluzione culturale del ’68, ho frequentato per 3 anni ingegneria dando un solo esame. E nel contempo ho vissuto per 10 anni la classica vita del bar italiano. Solo uomini, si discuteva di tutto: politica, donne, economia, filosofia, teologia; quella polemos tanto cara ad Eraclito. La polemos padre e maestra dell’umanità. Al bar vi è sempre qualcuno che ascolta le tue pene. Non vi è dubbio che quella parte importante della vita sia in qualche maniera la «mia università della vita». Volevo produrre cashmere perché immaginavo che si potesse «lasciare in eredità». Mi piaceva che fosse un manufatto italiano e che rappresentasse grande qualità, artigianalità, manualità e speriamo creatività.

Per fare questo avevo bisogno di mani sapienti che «ricevessero dignità morale ed economica dal lavoro». Volevo che gli essere umani trovassero nel lavoro luoghi accoglienti anche sotto il profilo estetico, dove si respirasse umanità, stima, tolleranza, spiritualità ed anche in qualche maniera un po’ di misticità. Luoghi dove venendo al lavoro ogni mattina, accompagnati sempre da quel mal dell’anima che ci colpisce sin dalla nascita ed oggi acutizzato da quella sorta di rumore informatico, trovasse un po’ di serenità, di rispetto, di stima e comprensione. Luoghi dove si lavorasse un giusto numero di ore al giorno. Si inizia tutti alle 8.00 e non si può lavorare dopo le 17.30, con una importante pausa pranzo.

Non si timbra il cartellino ma alle 8.00 del mattino in punto siamo lì. Non si può essere connessi dopo le 17.30, né sabato e domenica. Non si possono fare email se non lo stretto necessario, ma si fa un grande uso del telefono. Se ti faccio lavorare troppo è come se ti avessi rubato l’anima. Tutto questo per provare a realizzare ogni giorno quella a me tanto cara raccomandazione fatta da uno dei miei grandi maestri, San Benedetto, il quale dice: cura ogni giorno la mente con lo studio, l’anima con la preghiera e il lavoro. Nel conservare siamo stati più restauratori che edificatori. Di nuovo, abbiamo solo edificato un Teatro, un Foro delle Arti, un’Accademia Neoumanistica.

Terminati i lavori al centro storico, abbiamo restaurato la periferia per renderla amabile. Si dice che il 70% degli esseri umani abiti in periferia, quindi questo è un nostro compito per questo secolo a venire. Ho sempre pensato che è nostro dovere progettare sì a tre anni ma anche a 30 anni, a 3 secoli. Questo Teatro è un tempio laico dell’arte progettato a 3 secoli. Ho sempre pensato che non possiamo governare l’umanità solo con la scienza ma dobbiamo tornare a bilanciare scienza e anima, Voltaire – Rousseau; Apollo – Dioniso. Credo che vi sia un desiderio universale dell’umanità di essere trattata con: decoro, onestà, rispetto. «Il creato illumini il nostro cammino».

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6 ottobre 2017 2017 ( modifica il 7 ottobre 2017 2017 | 14:40)