Renzi, il Pd e i bersaniani di Chiaia

diPaolo Macry

Matteo Renzi apre a sinistra, titolavano ieri i giornali. A Pisapia, forse a Bersani. Il che, probabilmente, non significa un cambio di linea programmatica da parte del Nazareno, quanto piuttosto modifiche alla legge elettorale e altre mosse di natura contingente. Intanto, però, il muro contro muro sembra messo in soffitta e la spirale della divisione fa spazio a ipotesi di unità. Una mossa che dovrà essere verificata nelle periferie. A Napoli, per esempio, c’è qualcuno che ha voglia di rimettere assieme i pezzi tra Pd e scissionisti e, prima ancora, all’interno del Pd? Non che il cammino sia facile. A torto o a ragione, Renzi rimane la pietra dello scandalo. Non è più di sinistra, tuonano D’Alema e Bersani. E’ amato dalla destra, insinua il giovane Speranza. E, come per i catalani aizzati contro Madrid, i veleni entrano in circolo. Esiste ormai un composito magma di leader politici, segmenti di opinione, intellettuali, organi di stampa il quale ha elaborato nei confronti dell’ex premier un’ostilità asperrima, una forma di idiosincrasia compulsiva di quelle che fanno perdere anni e anni sul lettino dell’analista. E la storia non è nuova. Da sempre, la sinistra italiana è una fossa dei leoni. Appena un domatore sembra in grado di governare il circo, i leoni, gli stessi che ai primi colpi di frusta avevano raggiunto in silenzio ciascuno il proprio trampolo, ecco che si guardano attorno, si fanno qualche conto, si scambiano un cenno d’intesa con la criniera e poi vanno tutti assieme all’assalto del domatore. Sbranandolo. È andata così con Craxi, con Veltroni, con Prodi. E così con Renzi. Dal sacrificio circense si sono salvati soltanto i leader che non sapevano o meglio non volevano vincere: dal Migliore a Berlinguer. Per chi accettava l’arena e (peccato mortale) era sul punto di prevalere non c’è mai stato scampo.

A Napoli, malgrado il clima mite, se ne sono viste molte, di queste autolesionistiche crudeltà. Ed è inutile rivangare una storia nota a tutti. L’ha già fatto Ermanno Rea. In tempi recenti, lo stesso Antonio Bassolino, sebbene non avesse mostrato la minima remora a brandire la frusta, è finito nella polvere. Per errori suoi, certamente. Ma anche per l’isolamento nel quale fu voluttuosamente lasciato al termine della propria esperienza amministrativa. E, dopo Bassolino, chiunque abbia osato affacciarsi nella (locale) fossa dei leoni ha dovuto pentirsene in men che non si dica: Umberto Ranieri, Andrea Cozzolino, Valeria Valente. Per limiti personali? Per le scelte sbagliate del partito romano? Quel che è indubbio è che hanno sempre prevalso logiche di contrapposizione interna, atteggiamenti divisivi, conti in sospeso talvolta remoti. E, negli ultimi anni, l’alibi (in un senso o nell’altro) di Renzi. Pratiche che, comunque, finivano per allontanare gli elettori.

E oggi che il Fiorentino chiama a raccolta un partito rissoso e i suoi fuorusciti, ricordando a tutti la necessità di costruire una sinistra capace di resistere alla destra e al M5S, non è inutile chiedersi come risponderà la galassia napoletana. Se cioè le diverse anime diessine ed ex-bassoliniane marceranno all’unisono, mettendosi alle spalle divergenze politiche e più spesso rancori personali. Se ex-diessini ed ex-popolari vorranno deporre l’ascia di guerra o continueranno a contendersi con il coltello fra i denti qualche poltrona. Se Massimo Paolucci consiglierà prudenza al suo lider maximo o ne solleciterà l’insostenibile durezza antirenziana. Se i bersaniani di Chiaia, tra un rogito notarile e una bella poesia, decideranno finalmente di costruire ponti o vorranno approfondire penosi fossati politici. Se infine i padri della patria, quelli che molto hanno fatto e disfatto in città e che ora sembrano soprattutto interessati all’aria pura delle alte quote, vorranno seguire l’ipotesi tuttora fragile del tandem Renzi-Pisapia, magari tornando sui propri passi, cioè tornando nel Pd. Istanze ireniche ingenue? Può darsi, e tuttavia parliamo di scelte che, viste con gli occhi dell’uomo della strada, sembrerebbero nè così difficili, nè soprattutto procrastinabili. In fondo, le elezioni sono alle porte. E le elezioni, come avvertiva lucidamente Mauro Calise sul Mattino, saranno in buona parte decise da quelle generazioni giovanili che chiedono senso del futuro e capacità d’innovazione e che non sanno che farsene della politica politicante.

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9 ottobre 2017 2017 ( modifica il 9 ottobre 2017 2017 | 06:44)