Il Pd debole che non fa bene a Napoli

diGiuseppe Galasso

Tocca a Napoli, in questa fine di settimana, ospitare Matteo Renzi. L’occasione è caratterizzata dal fatto che si tiene contemporaneamente il congresso napoletano del Partito democratico: un’occasione di natura tale da superare nettamente quella che avrebbe la semplice tappa napoletana del giro d’Italia che Renzi fa col suo treno. E questa maggiore importanza dipende indubbiamente – detto a Renzi con la franchezza richiesta, oltre ogni altra ovvia considerazione, dalla rilevanza della sua personalità non solo nella vita politica italiana, ma anche come segretario di quel partito – dallo stato piuttosto lacrimevole in cui il Pd napoletano versa da tempo, senza che si intravvedano, a tutt’oggi, concrete vie di uscita da un tale stato. Uno stato – detto a Renzi sempre con la stessa franchezza – per il quale è convinzione comune e corrente che non sia per nulla esigua la sua personale responsabilità sia per una serie di interventi e di scelte di uomini e di posizioni che si sono avuti negli ultimi anni, sia per l’opposto, ma convergente motivo della sensazione di una sua ricorrente disattenzione per le cose del partito napoletano che, a quanto appare, ha contribuito non poco a peggiorarne le condizioni. Lungi da noi il proposito di dare nomi e cognomi a questi giudizi e impressioni che sono, del resto, a Napoli molto più diffusi di quanto non si creda. Precisiamo, anzi, che in ciò che diciamo prescindiamo da ogni valutazione personale poco rispettosa di chi ha attualmente nelle sue mani il partito o quanto ne avanza, che sarà certo animato dai migliori propositi possibili.

Il che, detto per inciso, rende le cose ancora meno confortevoli. Parliamo di una condizione negativa alla quale, oggettivamente, ci si è ridotti, e che non può essere ignorata nei suoi termini reali o sottovalutata. Ancor più lontano da noi, quindi, il pensiero di dare indicazioni propositive di nomi per il futuro. Qui parliamo solo per la convinzione che un indebolimento come quello che il Pd ha subito a Napoli negli ultimi anni sia un dato molto negativo per la città, molto negativo per la vita politica locale e regionale, molto negativo per i riflessi che non può mancare di avere (si tratta di Napoli!) nella vita politica nazionale. I dati delle ultime elezioni comunali sono più che indicativi di tale indebolimento. Siamo al punto che nella provincia di Napoli la tenuta del Pd è nettamente migliore di quella nella città; e ancora migliore è la tenuta al livello regionale (grazie anche, ovviamente, all’energica direzione del governo regionale da parte di Vincenzo De Luca, che non per nulla è uno dei pochi esponenti locali del partito che possano vantare una dimensione e una notorietà nazionale). Né può ammettersi che queste migliori condizioni della provincia e della regione facciano da velo, da copertura, da giustificazione della deteriore condizione cittadina.

Il relativo vuoto napoletano fa grande torto a una tradizione della sinistra napoletana, che ha avuto nel passato funzioni a volte positive, a volte negative per la vita della città, ma ha sempre costituito un elemento forte della sua rilevanza anche a livello nazionale (e perfino oltre: e lo dico non avendone mai fatto parte, anzi essendomi più volte trovato con essa in contrasto). Ma fa anche un grande torto alla più generale tradizione cittadina, che – pur con tutte le sue luci (magari poche) e le sue ombre (magari molte) – si è sempre qualificata per la ricchezza e la complessità del suo panorama politico. E fa torto soprattutto a una cittadinanza che, come quella della Napoli attuale, è stanca, sfiduciata, resa da tante vicende e aspetti anche del suo vissuto quotidiano più scettica; una Napoli che si trova in una fase di accentuata atonia politica, non riscattata, né riscattabile da nessun populismo, vecchio o di presunta modernità che sia; una Napoli che ha, per ciò, un evidente, profondo bisogno di recuperare una diversa e migliore condizione della sua vita politica e amministrativa.

Non crediamo che tutto ciò possa davvero sfuggire a un uomo politico della levatura di Matteo Renzi. Né crediamo possibile che egli ritenga che da quanto si è detto si esca con qualche espediente di «cattura» di qualche nome di grido o con l’espediente di qualche misura straordinaria molto seduttiva per i napoletani. Egli sa che se ne esce solo con un accurato, costante, appassionato lavoro politico, culturale, sociale, che sappia coprire tutta l‘area degli interessi, delle passioni, dell’immaginazione, dei bisogni reali e urgenti, le speranze e le aspettative di una comunità. Se ne esce con l’emergere delle guide richieste dallo stato dei fatti e con la mobilitazione di sufficienti e adeguate energie sociali. Non sono più i tempi delle grandi accensioni ideologiche per le quali la lotta politica si vestiva dei colori di un’accesa passione civile e di atteggiamenti poco meno che religiosi del sentire politico. Sono sempre, però, i tempi della tensione e dell’impegno etico-politico, i tempi del richiamo all’impegno civile: che sono tempi sempre attuali, e non solo non devono, ma neppure possono mai tramontare, e sono anche tempi che nel caso concreto di Napoli presentano le note inconfondibili delle grandi urgenze sociali, materiali e morali.

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28 ottobre 2017 2017 ( modifica il 28 ottobre 2017 2017 | 08:09)