22 febbraio 2018 - 09:15

M5S: «Poca democrazia? Gli altri partiti fanno di peggio»

Ma i militanti del Movimento Cinque Stelle rispettano la sentenza del giudice: «Fa riflettere, dobbiamo migliorarci». E a Villafranca Padovana lascia tutto il gruppo: «Non ci riconosciamo più»

di Monica Zicchiero

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VENEZIAIl potere di veto di Luigi Di Maio sui candidati è lontano «da canoni minimi di democrazia interna»: la sentenza del giudice di Roma Cecilia Pratesi sull’eslusa dalle Parlamentarie scuote i grillini. Deputati e consiglieri restano convinti che il M5s sia un baluardo di partecipazione rispetto agli altri partiti («Loro decidono nelle segrete stanze, noi almeno abbiamo fatto votare migliaia di persone», dicono con una sola voce) ma la storia delle virtù sbandierate (l’onestà, le restituzioni, mai impresentabili, l’uno vale uno dei primi tempi) è un po’ come la «superiorità morale» che Enrico Berlinguer attaccò sulle spalle della sinistra: una patente che ti controllano tutti e al primo stop saltato trovi una folla pronta a toglierti sei punti.

Le aspettative sul Movimento

«Dal Movimento ci si aspetta sempre di più», sintetizza la deputata e ricandidata Arianna Spessotto. E quindi la riflessione è aperta. L’ordinanza cautelare è stata emessa dal giudice di Roma su ricorso della padovana Maria Elena Martinez, anestesista dello Iov che si era vista escludere dalle parlamentarie a insindacabile giudizio del capo politico Di Maio, come dice lo statuto. E difatti il ricorso è stato rigettato ma nel dispositivo il giudice nota che la regola mostra una «evidente distanza da canoni minini di democrazia interna». «Tecnicamente quel passaggio si chiama obiter dictum, uno svolazzo, una affermazione di tipo saggistico o sociologico – spiega Claudio Consolo, per 15 anni docente al Bo di procedura civile e ora candidato M5s a Roma –. Il movimento ha regole molto diverse da partiti tradizionali e, se comparate, sono certamente più draconiane. Ma sono necessarie in questo momento storico e sono democratiche perché consentono a chi è stato eletto leader di operare scelte sui candidati. Gli altri partiti hanno procedure lunghissime e i risultati si vedono. Dalla quantità di impresentabili nelle liste».

Le ragioni

Martinez non è certo una impresentabile ma una che non lesina critiche al Movimento. «La sua esclusione è motivata nella sentenza per i post contro la giunta di Virginia Raggi e per aver impugnato al Tar alcune sue nomine – ricorda il consigliere comunale veneziano Davide Scano –. Una cosa sono le critiche, altro gli attacchi. Bisogna tenere la barra dritta nella selezione. Detto questo, noi possiamo migliorare regole, statuto, prassi. Ma gli altri partiti sono messi peggio». «Sono regole antidemocratiche? E tutti gli altri partiti non decidono anche così? - fa eco la consigliera di Vicenza e candidata all’uninominale Liliana Zaltron –. Ma solo nel M5s i cittadini hanno potuto scegliere i candidati».

I delusi

«Non c’è democrazia. Punto. Questo non è più un parere: lo ha detto un giudice». Enrico Chiuso è un imprenditore, grillino della primissima ora, consigliere comunale a Salzano e uno dei diciassette «frondisti» che sottoscrissero la lettera contro l’invito a scovare «nefandezze» sugli avversari politici. Ed è, evidentemente, su una sponda di riflessione opposta rispetto a Consolo. «Oggi è una grandissima amarezza sentirsi dire da consiglieri eletti che non si è democratici. È l’ennesima vicenda: il cambio dell’associazione e dello statuto deciso senza assemblea che adesso dovrà convocare il curatore, le espulsioni per i rimborsi per Benedetti e Cozzolino mentre Lezzi e Sarti per casi analoghi sono state condonate». La questione della democrazia interna è un problema in tutti i partiti, riflette la consigliera regionale Patrizia Bartelle che è sempre in dissenso col suo gruppo: «Noi avevamo tentato un percorso di maggior democrazia e abbiamo fatto il meno peggio. Le dinamiche verranno chiarite dopo il 5 marzo. Sicuramente si aprirà dibattito e troveremo la sintesi».

Il dibattito interno

Il problema è che il M5s è allergico alle correnti, perciò non si sono presentati avversari di rango contro Di Maio alle primarie e non ha una minoranza interna riconosciuta. Non che conti molto, negli altri partiti. Per esempio il Pd ce l’ha ma l’ha azzerata nelle candidature. «Qualcuno mi spieghi che scelte ha fatto Renzi con la sua minoranza interna, quelle di Berlusconi o Salvini, che hanno scelto nelle segrete stanze – dice il deputato e ricandidato Federico D’Incà –. Potremmo essere più strutturati, certo, ma vorrei che tutti gli altri candidassero 10mila persone in Italia e 500 in Veneto prima di dire se la nostra è democrazia». Pure lui dice che le regole sono perfettibili. «Ci si aspetta di più, da noi perciò dobbiamo fare una riflessione seria su nostri strumenti: sicuramente dobbiamo migliorarci – annuisce Spessotto – La sentenza è forte e deve far riflettere chi, come noi, fa della democrazia una battaglia. Spero serva a migliorarci». E che la situazione resti incandescente nel Movimento lo dice anche la notizia arrivata in serata da Villafranca padovana, dove tutto il gruppo locale (un consigliere più una quindicina di iscritti) ha deciso di abbandonare il Movimento: «Non incarna più i valori fondanti che intendeva rappresentare quali la trasparenza, la democrazia dal basso, la condivisione e partecipazione nelle scelte politiche», hanno scritto.

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