Veneto, 4 novembre 2017 - 09:39

Banche Venete e scaricabarile.
Consob e Bankitalia
faccia a faccia

Prezzi, Casini riconvoca le authority. Barbagallo: gli azionisti finanziati del 2012? Irrilevanti

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Barbagallo con Casini
Barbagallo con Casini

VENEZIA Ex popolari, un confronto all’americana risolverà lo scontro sulla vigilanza Bankitalia-Consob. Sarà una audizione-bis, giovedì prossimo, del capo della vigilanza di Via Nazionale, Carmelo Barbagallo, e del direttore dell’Authority sulle società, Angelo Apponi, sentiti insieme, l’uno contro l’altro, a risolvere la spaccatura sulla gestione dei controlli in Popolare di Vicenza e Veneto Banca, emersa l’altro giorno in commissione bicamerale. Con la Consob a sostenere che Banca d’Italia non aveva trasmesso per tempo gli elementi sul prezzo delle azioni gonfiate emersi nelle ispezioni del 2001, 2008 e 2009, reso chiaro nell’ispezione Consob 2015, e Palazzo Koch che replica di aver sempre trasmesso tutto.

Fatale finisse con un’audizione-bis, calendarizzata ieri dal presidente della commissione, Ferdinando Casini per giovedì, dopo che martedì toccherà ai commissari liquidatori delle due banche, guidati da Fabrizio Viola. «Perché se ha ragione Bankitalia, Consob ha dormito troppo a lungo e diventa indifendibile, mentre invece se vale la seconda versione, la mancata comunicazione di Via Nazionale è di una gravità enorme», dice il deputato di Scelta Civica, Enrico Zanetti, tra i membri della commissione ad aver chiesto l’audizione. E si vedrà se saranno ascoltati anche gli ex presidenti e amministratori delegati, Gianni Zonin e Samuele Sorato, a Vicenza, Flavio Trinca e Vincenzo Consoli, a Montebelluna, di fronte all’affermazione di Barbagallo che via Nazionale non aveva mai spinto per la fusione Bpvi-Veneto Banca. Trattasi di persone indagate, è il dubbio che gira. «L’affermazione di Barbagallo ci ha lasciati perplessi. Credo sia comunque rilevante ascoltarli, e non perché siano oracoli o vittime», aggiunge Zanetti. E l’ex magistrato Giovanni Schiavon, invita la procura di Roma a valutare se «nelle dichiarazioni di Barbagallo vi siano gli elementi per indagarlo di falsa testimonianza».

Certo se l’audizione doveva chiarire i fatti e il lavoro della vigilanza, la giornata dell’altro ieri ha seminato più dubbi che certezze. Almeno a giudicare dalle reazioni del giorno dopo. «Manager e banchieri che hanno sbagliato devono pagare. Ma se vogliamo che il Paese cambi, le alte burocrazie devono assumersi le proprie responsabilità - è tornato alla carica il segretario del Pd, Matteo Renzi -. Noi diciamo che troppe cose non hanno funzionato. E già nell’audizione di Bankitalia e Consob sulle popolari venete è emerso con chiarezza che il sistema di vigilanza non sempre è stato all’altezza». «La mancanza di dialogo tra Bankitalia e Consob è simile a quella tra carabinieri e polizia nella vicenda di Igor - aggiunge, richiamando la vicenda del killer serbo che ha ucciso due volte a Ferrara e non preso, il vicepresidente della commissione, il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta -. Le descrizioni delle authority non sempre confortanti hanno creato allarme in commissione. Non è possibile che di fronte a deviazioni notevoli su mutui baciati, sopravalutazione di capitale e profilazione opportunistica dei clienti, vere e proprie truffe, nessuno si sia accorto di nulla. Non è possibile che nessuno paghi tranne i risparmiatori truffati. Vogliamo trovare i responsabili, negli amministratori delle banche in primis, ma anche tra chi doveva vigilare».

Il tutto entro un quadro in cui sono usciti elementi rilevanti, dalla relazione letta in commissione da Barbagallo. Il capo della vigilanza ha definito la crisi bancaria in Veneto come qualcosa di unico, un caso «che mostra una densità che non ha pari in altre regioni d’Italia: dal 2013 ci sono state 13 situazioni di grave problematicità, di cui 5 sfociate in provvedimenti di liquidazione sui 16 su base nazionale». Così come Barbagallo fornisce una cifra inedita rispetto alla raccolta persa dalle banche venete nella crisi: 18 miliardi in totale dall’ultimo trimestre 2015, quando vengono liquidate Etruria e le altre tre banche, fino al decreto di liquidazione di giugno 2017. In due tempi, in particolare: tra settembre e dicembre 2015, all’incrocio tra l’avvio dell’inchiesta di Vicenza, con il blitz della Finanza nella sede di Bpvi, e il fine anno con l’avvio del bail-in e la fine delle quattro banche, Bpvi perde 2,5 miliardi e Veneto Banca 4; 2,5 e 4 invece nel primo semestre 2017, di fronte all’incertezza sul piano di fusione e ricapitalizzazione delle due banche, che sfocia nella liquidazione.

E un ulteriore elemento rilevante emerge dall’audizione di Barbagallo: il capo della vigilanza ammette di fatto per la prima volta che l’ispezione 2012 si trova di fronte le azioni finanziate. «Ma gli elenchi di azionisti che risultavano anche finanziati dalla banca messi a disposizione del team ispettivo, di cui ha parlato di recente la stampa, non possono essere considerati per sé evidenza di finanziamenti ‘baciati’ o sintomo di irregolarità - sostiene il capo della vigilanza -: in una banca popolare è normale che un cliente sia insieme finanziato e socio; per essere identificate come tali, le ‘baciate’ devono rispettare una serie di caratteristiche ben precise». Su quali siano, però, nessuna specificazione. Così come resta sempre da risolvere il perché, pochi mesi dopo, Veneto Banca viene invece ribaltata per 157 milioni di capitale finanziato, poi ridotto a 10 milioni.

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