Veneto, 21 ottobre 2017 - 09:44

Referendum, Indipendentisti verso «Sì scettico». Gli irriducibili: «Una pagliacciata»

Alle Regionali del 2015 le liste riconducibili a questa variegata galassia hanno collezionato complessivamente 116 mila voti

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VENEZIA Piuttosto di niente, meglio piuttosto. Gli indipendentisti veneti, ispirati dalle recenti vicende catalane, si avvicinano al referendum autonomista tradendo un po’ di rassegnazione da un lato, e dando prova capacità di adattamento dall’altro, della serie: questo passa al convento e chi si accontenta - per ora - gode. Non parliamo di quattro gatti: alle Regionali del 2015 le liste riconducibili a questa variegata galassia hanno collezionato complessivamente 116 mila voti (6 mila in più di Forza Italia) e solo per la frammentazione dovuta alla proverbiale litigiosità dei suoi protagonisti alla fine ne è risultato eletto un consigliere soltanto.

La speranza, diffusa, è che il voto sia solo il primo gradino di una scala che può culminare con la secessione, nonostante Roma, lo Stato Italiano e finanche la Lega, che pare aver cambiato idea rispetto ai tempi che furono e ormai ogni giorno, dal leader Matteo Salvini al capogruppo in Regione Nicola Finco, ribadisce che l’indipendenza «è una questione ormai archiviata» (il governatore Luca Zaia, invece, balla sul filo e da più parti viene accusato di ambiguità mentre in consiglio regionale risultano ancora depositate tre diverse proposte di legge indipendentiste, una delle quali firmata dal presidente dell’assemblea Roberto Ciambetti).

Alessio Morosin, alfiere di Indipendenza Veneta, non si fa illusioni: «Appoggiamo il referendum con l’assoluta convinzione che non porterà a nulla perché lo Stato Italiano è inaffidabile, e questo a prescindere da chi vincerà le prossime elezioni: cambia l’etichetta, ma la marmellata nel vasetto è sempre quella. Tra un anno saremo alle stesso punto e allora ci si renderà conto che è il momento di agire. Nell’attesa, il referendum resta un allenamento importante di libertà e democrazia, perché come insegna la Catalogna, la volontà del popolo non si arresta». Il consigliere regionale di Siamo Veneto Antonio Guadagnini è da tempo in campo per il Sì («Il referendum ha un grandissimo valore simbolico, ci porterà ad assaporare in misura sempre più accattivante l’irresistibile profumo della libertà») e Luca Azzano Cantarutti di Grande Nord avverte Zaia: «Non saranno tollerate meline o giochi di palazzo, con una massiccia vittoria del Sì, il governatore avrà dietro di sé una forza popolare straordinaria, che lo sosterrà nei confronti di Roma ma che pretenderà risultati concreti» e sempre da Grande Nord Roberto Agirmo, titolare dell’agenzia di viaggi veneziana che da lunedì praticherà sconti a chi dimostrerà di essere andato a votare, minaccia perfino esposti in procura contro chi sta facendo propaganda per l’astensione: «Gli estremi legali ci sono».

Ripone tutta la sua fiducia in Zaia («Per l’ennesima volta») anche Luca Peroni, uno dei Serenissimi che nel 1997 assaltò il Campanile di San Marco: «Vorremmo facesse come Milan Kucan, che nel 1991 portò la Slovenia a staccarsi da Belgrado». Più scettico un altro ex Serenissimo, Flavio Contin («A Roma sono dei delinquenti ma non sono cretini, non molleranno, e Zaia sarà costretto ad andare a trattare. Vedremo...») così come Lucio Chiavegato, sotto processo a Brescia insieme proprio a Contin per l’inchiesta sui «Serenissimi 2.0» del 2014: «Il referendum va bene ma la trattativa con lo Stato sarà un processo di anni, non di mesi. Subito non cambierà niente. Se fossero furbi, a Roma, ci darebbero le briciole, e molti si accontenterebbero».

Ma ci sono pure gli irriducibili, quelli che proprio non ci credono e tirano dritti per la loro strada. Come Gianluca Busato, che nel 2015 provò ad allestire un «plebiscito digitale» dalla fragilissima attendibilità: «Si conclude una ridicola campagna referendaria, domani si voterà per una pagliacciata che ha l’unico scopo di distrarci dal vero obiettivo politico, l’indipendenza». Va oltre Albert Gardin, che giusto un anno fa annunciò da Palazzo Ducale d’essere appena stato eletto «121º Doge della Serenissima»: «Non andremo a votare per un motivo molto semplice - spiega - noi siamo fuori dall’Italia e il referendum per noi non ha alcun valore. Ogni giorno diamo vita alla Repubblica Veneta, che essendo entità distinta dallo Stato Italiano non ha esigenza di farsi devolvere da quest’ultimo alcuna competenza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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