Veneto, 26 ottobre 2017 - 11:38

Referendum, Zaia archivia statuto speciale e indipendenza

Dopo le pressioni degli alleati, il governatore in consiglio: «Uniti per l’autonomia, intesa entro gennaio»

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VENEZIA Lo statuto speciale? È già archiviato. O quanto meno non sta in cima ai pensieri del governatore Luca Zaia, approdato ieri a Palazzo Ferro Fini per aggiornare il consiglio regionale sull’esito del referendum e la trattativa autonomista col governo. «In questi giorni si è creato un po’ di fraintendimento sullo statuto speciale - ha detto Zaia - che però, voglio ribadirlo qui, con chiarezza, non ha nulla a che fare col referendum di domenica né con la trattativa da avviare col governo». E però c’è un progetto di legge statale messo nero su bianco, per quanto di una riga soltanto, approvato dalla giunta all’unanimità. «Si è trattato di un impegno morale, preso per evitare che qualcuno, e sollecitazioni in tal senso ne ho ricevute più d’una durante la campagna elettorale, potesse dire in futuro: perché non abbiamo chiesto la specialità? Ma trattandosi di una proposta di legge, toccherà al consiglio decidere e sapete che per me il consiglio è sovrano».

Il governatore del Veneto Luca Zaia
Il governatore del Veneto Luca Zaia

La questione, insomma, viene stralciata ma potrebbe dirsi pure chiusa, visto il clima che si è registrato mercoledì in aula, dove dalla Lega (dove pure permangono alcuni spiriti arditi) al Pd, passando per i Cinque Stelle, tutte le forze politiche hanno insistito sulla necessità di tirare dritto sull’autonomia, mettendo da parte qualunque altra velleitaria soluzione. A cominciare, ovviamente, da quella indipendentista, su cui lo stesso Zaia è stato chiarissimo: «Dopo il referendum non ci sono “altri obiettivi” o “secondi fini”, non ci saranno fasi indipendentiste o chissà che altro. Ognuno ha le sue idee e se le tiene ma ci abbiamo già provato tre anni fa e la Corte costituzionale non ce l’ha permesso, sicché è inutile provarci ogni tre anni, ben sapendo quale sarà l’esito finale».

Il governatore

Zaia, sul punto, stavolta è stato davvero inequivocabile («Prendo qui l’impegno di portare avanti la trattativa come previsto dalla Costituzione, nell’ambito delle istituzioni»; più Maroni, insomma, che Puigdemont) e questo si è reso necessario non soltanto per le pressioni dell’opposizione, pronta a gridare «all’ingenuità» di chi ha votato Sì pensando che Zaia «si accontentasse», ma anche e soprattutto per quelle degli alleati, da Forza Italia, che da giorni cannoneggiava sul fronte con i colonnelli guidati da Renato Brunetta, a Fratelli d’Italia, che mercoledì, con Sergio Berlato, ha avvertito: «Noi siamo stati leali e io personalmente ho garantito sulla serietà delle nostre intenzioni con Giorgia Meloni, che come sapete era molto perplessa al riguardo. Sappiate che se a causa dello sgambetto di qualcuno, da cui la invito a guardarsi presidente, dovesse iniziare una deriva secessionista, contro l’unità d’Italia, non ci schiereremmo subito dall’altra parte della barricata». Ascoltava, su una sedia diventata piuttosto scomoda, l’unico indipendentista eletto in consiglio, Antonio Guadagnini, che ha tentato di difendere con un discorso accorato le ragioni di una nuova consultazione secessionista, ma senza fortune: sebbene la maggioranza abbia infatti rifiutato di ritirare le tre proposte di legge che ancora giacciono in consiglio sul tema, il presidente del consiglio Roberto Ciambetti (peraltro firmatario di una delle tre) e il capogruppo della Lega Nicola Finco hanno già avuto modo di dire, lapidari, che «la questione non è più all’ordine del giorno». Zaia non ha comunque voluto scontentare del tutto i suoi: «Se avremo tutte le 23 materie che chiediamo, e su questo non ci saranno passi indietro, tecnici e giuristi ci dicono che per finanziarle lo Stato dovrà giocoforza concederci risorse pari ai 9/10 delle nostre tasse e questo ci porterà di fatto, non in diritto, ad essere uguali a Trento e Bolzano».

Il dibattito

Tracciata la road map («Mi dicono che ci sono i tempi per arrivare già con questo governo, entro gennaio, all’intesa»), e chiariti bene i confini entro cui si muoverà la Regione, il dibattito in aula si è dipanato per tre ore in un clima di grande ecumenismo politico («responsabilità» è stata la parola più ricorrente), anche da parte di Mdp, unica forza a schierarsi apertamente, con Piero Ruzzante, per l’astensione: «Il popolo ha votato e il popolo non è mai mona (il riferimento è ai nuovi insulti di Oliviero Toscani, ndr.), il messaggio che ci ha mandato è chiarissimo». Il dem Stefano Fracasso ha chiesto che l’atteggiamento inclusivo di Zaia si traduca, nei fatti, nella possibilità di mettere mano alla proposta di legge, mentre Nicola Finco della Lega si è appellato, come prima di lui il pentastellato Jacopo Berti, ai parlamentari invocando quella «lobby territoriale» che il Veneto non è riuscito a concretizzare mai una sola volta da che esiste la Repubblica. A tutti Zaia ha teso una mano: «La campagna referendaria finisce qui, ora ci attende un lavoro lungo, che non sappiamo quando finirà, probabilmente si concretizzerà quando noi neppure saremo più in Regione. I veneti domenica ci hanno dato una bella lezione: ora sta a noi dimostrare di essere all’altezza del compito che ci hanno affidato».

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