10 marzo 2018 - 08:52

Il patriarca Moraglia: «Il voto cattolico non esiste più»

Il presule: alle elezioni ha prevalso l’esigenza di voltare pagina, dobbiamo ripensare il nostro ruolo

di Francesco Bottazzo

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Patriarca Francesco Moraglia, in questi giorni si assiste a tutta una serie di reazioni e tentativi di analisi del voto del 4 marzo. Si è fatto un’idea di quello che è successo? Se l’aspettava un risultato simile? «Sto cercando anch’io di capirne di più, tuttavia non posso dire di essere totalmente sorpreso dai risultati di queste elezioni. I segnali di una crescente stanchezza nei confronti di una certa politica non mancavano. Così pure si poteva registrare agevolmente un montante sentimento e moto di sfiducia. E tutto questo ha generato, evidentemente, una volontà di cambiamento che, da un lato, ha portato a registrare un’alta e significativa percentuale di votanti (e non era proprio un dato scontato) e, dall’altro, una voglia di scegliere con il proprio voto di andare contro e, possibilmente, ribaltare gli equilibri politici esistenti e tradizionali a favore di altri».

Sta dicendo che quindi ha prevalso l’esigenza di voltare pagina? «Sì, è stata certamente dominante. E così pure, a mio parere, un’insofferenza verso le contrapposizioni personali o di partito, le promesse eccessive ma anche verso le sterili rivendicazioni di risultati confortanti e di “riprese” economico-sociali spesso tanto annunciate ma ancora troppo poco avvertite nelle vicende quotidiane dei cittadini. Par di capire che soprattutto nei più giovani questi sentimenti abbiano prevalso, insieme alla pressione per le fatiche e le difficoltà che più li riguardano direttamente: l’ingresso nel mondo del lavoro, il raggiungimento di un’autonomia sociale, la prospettiva reale di formare una famiglia e mettere al mondo dei figli. Soprattutto loro, desiderano e cercano, a loro modo, un cambiamento e non si sentono accompagnati da scelte politiche progettuali ma solo da misure episodiche ed emergenziali».

Dal voto della settimana scorsa sono uscite vincitrici le forze politiche che hanno una loro visione su immigrazione e sul ruolo dell’Europa non proprio in linea con le posizioni della Chiesa. E’ preoccupato per il futuro? Ritiene di invitare queste forze ad una maggiore responsabilità sui temi dell’accoglienza? «Confido nel realismo e nel senso di responsabilità di chi verrà chiamato a governare. La campagna elettorale ha i suoi toni ma ogni forza politica capace d’esprimere una cultura di governo è chiamata poi a trovare nella sua azione una sintesi virtuosa. Ritengo poi che la Chiesa, proprio perché ha a cuore il bene comune di tutti, non può tacere o mancare di sollevare l’attenzione su situazioni problematiche, di fragilità e di sofferenza, di ingiustizia o discriminazione, le vecchie e nuove povertà che riguardano i cittadini, le persone, le famiglie e i popoli, tutto ciò che tocca la nostra comune umanità e con un’attenzione capillare alle fatiche dei nostri territori, cercando oltretutto di non privilegiare o trascurare mai nessuno. In questi giorni sono a Jesolo per la visita pastorale, nel suo impegno caritativo e di solidarietà, una grande parrocchia del luogo segue e accompagna regolarmente cinquanta famiglie italiane, ventidue straniere e sette miste. Mi pare un segnale eloquente per tutti... Del resto, la ricerca del consenso non è mai un criterio per l’azione e la missione della Chiesa. Sappiamo, infatti, che il Vangelo è e rimane memoria e coscienza critica per ognuno. E, quindi, anche per la politica e per i politici».

I risultati delle elezioni dimostrano, secondo alcune analisi, un’avvenuta «disintermediazione« ovvero l’assenza o l’irrilevanza di quei corpi intermedi della società che hanno, invece, sempre caratterizzato la realtà italiana, come ad esempio le categorie economiche. Secondo lei anche la Chiesa soffre di questo fenomeno? Pur avendo certamente autorità morale, viene ancora realmente ascoltata? «Anche questa fase definita di “disintermediazione”, in effetti, fa emergere un tratto di società italiana in grande trasformazione e in sofferenza. Per quanto ci riguarda mi pare evidente che, da tempo, i singoli credenti votano in maniera molto diversificata, in base alla sensibilità e alla storia di ciascuno. Proprio per questo non ha senso parlare di un “voto cattolico”: c’è, piuttosto, il voto dei singoli cattolici che oggi si diffonde un po’ dappertutto. In tal senso, la questione di fondo su cui tutti — cattolici italiani e veneti — dobbiamo interrogarci è l’incidenza o meno, la rilevanza o meno, la sussistenza o meno della cultura d’ispirazione cattolica nella vita sociale e politica di oggi, nell’attuale contesto. Nello stesso tempo, mi chiedo anche che cosa siamo chiamati a fare...».

In questa situazione Patriarca, che cosa è più necessario fare? «Sempre più ritengo necessario lavorare sulla formazione delle persone perché cresca l’attenzione, la sensibilità ed anche la “convenienza” sociale dell’impegno per il bene comune e per la dignità della persona, da tutelare in ogni momento della vita, dei principi di solidarietà e sussidiarietà, del vero senso della politica in un giusto mix di idealità e realismo, nel corretto esercizio di una democrazia illuminata e fortificata da valori. Quanto al futuro del nostro Paese, la situazione, come tutti vediamo, è complessa e anche complicata».

Secondo lei l’Italia riuscirà ad avere presto un governo? «Confidiamo molto nel senso di responsabilità di tutti e nella saggezza del presidente Sergio Mattarella affinché, lungo i binari stabiliti dalla Costituzione, si individui con sano realismo una soluzione percorribile e il più possibile condivisa secondo i criteri e le regole della democrazia. E, soprattutto, che le forze politiche sappiano trovare alcuni concreti punti di convergenza attorno ai quali lavorare insieme per porre le basi di una vera ripartenza del nostro Paese».

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