30 marzo 2018 - 08:05

Il parroco che sembra Gesù e si fa crocifiggere: «Per i profughi e i disoccupati»

Don Diego Castagna, 41 anni, vicentino di Lonigo, guida la chiesa di Arcole: «La recitazione è una mia passione, ho scritto io la sceneggiatura di questa Via Crucis»

di Francesca Visentin

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ARCOLE (Verona) La barba non è posticcia. I capelli non sono una parrucca. Don Diego Castagna, 41 anni, parroco di Arcole, è proprio così: ha il physique du role di Gesù. E si è fatto crocifiggere dai parrocchiani durante la Via Crucis animata della domenica delle Palme. Nudo, issato a quattro metri d’altezza, don Diego è morto (per fiction), lasciando a bocca aperta le 300 persone che assistevano alla sacra rappresentazione. «Da tempo la recitazione è una mia passione – fa sapere don Diego – ho scritto io la sceneggiatura di questa Via Crucis. E’ una provocazione, contiene molti elementi di contemporaneità: il tema dei profughi, quello del femminicidio e della violenza contro le donne, la perdita del lavoro. Se Cristo oggi fosse tra noi, si occuperebbe di questo, sarebbe in prima linea tra i profughi, tra le donne e accanto a chi ha perso il lavoro».

Interpretare Gesù

Ma perché interpretare Gesù? «Imitatio Christi – risponde il parroco, citando un celebre testo teologico medievale – è anche il motivo della mia scelta vocazionale». Alto, magro, muscoli scolpiti, capelli scarmigliati e barba hipster, sulla croce a sfidare il gelo di una serata nella campagna veronese, don Diego fa pensare a un idolo pop. Ma don Diego, originario di Lonigo (Vicenza), con l’esperienza di un anno di missione in Ecuador e l’ostinata volontà di «abbattere ogni muro che divide», ha un messaggio evangelico profondo che trascina ogni sua azione. Anche quando suona la chitarra. «Assomiglio a Gesù nell’aspetto, non per essere adorato come lui – chiarisce - ma per provocare e fare riflettere sulle emergenze di oggi, su quello che ognuno di noi può fare per aiutare il prossimo». Prima della Via Crucis, ad Arcole c’è stata «la Porta sul mondo», installazione di 4 metri e 350 mattoni davanti al sagrato: obbligatorio attraversarla per entrare in chiesa. Il significato? «Varcare quella porta era entrare nella misericordia, aprirsi alla solidarietà, abbattere in una volta sola il muro di Berlino, quello di Gaza e ogni altro muro reale o ideale». Una performance sempre in collaborazione con l’artista-contadino e amico Maffeo Burati D’Arcole. E con lui e 60 parrocchiani, attori per una sera, don Diego ha portato in scena una Via Crucis di grande effetto scenico. Sull’argine dell’Alpone, terra segnata dalle battaglie di Napoleone, è sfilato trascinando la croce, fino ad essere crocifisso dai suoi parrocchiani. Il sacerdote ha voluto tre tappe nella rappresentazione, dedicate ai migranti, alle donne vittime di violenza e alle persone che hanno perso il lavoro. «Il mio percorso di sacerdote è sempre stato accanto agli ultimi – evidenzia– vicino ai poveri e a chi sta ai margini. L’idea di questa Via Crucis è partita proprio dalla presenza di un gruppo di profughi nella nostra comunità. Così Gesù sbarca ad Arcole da un barcone, insieme ai migranti. E poi ad una successiva stazione, è chiuso in gabbia con le donne picchiate, sfregiate, violentate, che poi verranno liberate. Infine marcia sopra un carro con chi ha perso il lavoro per la crisi». E qui, come fa notare il regista della pièce Burati D’Arcole, il riferimento ai lavoratori di due storiche aziende veronesi come Melegatti e Ferroli è stato d’obbligo.

Timori e freddo

Nessun timore di stare sopra quella croce, a quattro metri di altezza? «Mio padre era lì con me – rivela don Diego- ha seguito personalmente il complesso sistema di corde che garantivano la mia sicurezza. Ho avuto solo freddo, ma l’adrenalina e la grande motivazione interiore mi hanno aiutato». Si sente un prete rock, come don Marco Pozza di Padova? «No, no. Cerco la dimensione della piccola comunità, non i protagonismi. Schiettezza e sincerità sono le mie caratteristiche. Voglio stare vicino alle persone con empatia». Infine, un commento sui preti travolti dagli scandali a luci-rosse nella Curia di Padova: «I preti non sono tutti santi. Nemmeno io lo sono. C’è bisogno di fare luce anche su queste parti ferite della Chiesa. Puntare il dito non serve, il disagio va prevenuto. Magari può essere un tema interessante per la prossima Via Crucis…dove c’è la croce c’è la sofferenza, anche di chi vive in quel modo».

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