13 dicembre 2017 - 18:19

Bpvi, Zonin si autoassolve in parlamento. «Ho perso anch’io»

Roma, l’ex presidente sentito per tre ore in aula dalla commissione. Tra nomi, accuse e non ricordo

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ROMA Le baciate? «Non ne sapevo nulla fino a quando non me ne parlò l’ispettore della Bce». Le pressioni di Bankitalia? «Mai ricevute». Il ministro Boschi? «Non la conosco». E in mezzo, tanti – troppi - «non so», «non ricordo», «non era compito mio». Ieri, a Roma, di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, era il giorno di Gianni Zonin. Ed è stato un one man show di quasi tre ore, iniziato con l’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza arrivato a piedi fino a Palazzo San Macuto. Giacca e cravatta sotto a un cappotto scuro come il suo volto alla vista dello schieramento di fotografi e telecamere appostati di fronte all’ingresso. I giornalisti gli chiedono come si sente al pensiero dei risparmiatori che hanno visto azzerato il valore delle azioni. Per un po’ cerca di ignorare le domande, poi si lascia sfuggire una frase: «Purtroppo ho perso anch’io». Nient’altro. Ma su questo punto tornerà a battere di nuovo, e diverse volte, rispondendo ai parlamentari. Il presidente della commissione, Pier Ferdinando Casini – che era contrario ad ascoltare Zonin, come del resto Vincenzo Consoli, l’ex Ad di Veneto Banca convocato per domani – lo dice subito: «Non sarà un quarto grado di giudizio». Come dire: la politica ha un compito diverso da quello della magistratura.

Veneto Banca

Le domande dei commissari vanno subito a toccare gli intrecci più delicati della storia di PopVicenza. Gli chiedono dell’idea di inglobare Veneto Banca e della versione di Consoli, secondo il quale fu Bankitalia che fece pressioni affinché l’istituto di Montebelluna si lasciasse fagocitare da Bpvi, nel 2013. «Da parte nostra, la fusione era vista con interesse, visto che ci avrebbe portato un istituto che disponeva di oltre mille sportelli. La creazione di un grande istituto del Veneto sarebbe stata una ricchezza. Tentammo in diverse occasioni, ma ogni volta il progetto svaniva in pochissimo tempo. Ne parlai con Consoli e Trinca anche il 27 dicembre 2013 ma l’incontro durò cinque minuti perché fu subito chiaro che dall’altra parte non c’era intenzione di arrivare a un accordo. Poi il capitolo più spinoso. «Alla Popolare o a me non è mai arrivato un ordine da parte di Banca d’Italia di acquisire Montebelluna. Quella della fusione era un’idea che noi portavamo avanti, perché lo ritenevamo un momento favorevole, ma non ci sono state pressioni esterne». Versione opposta a quella di Consoli, che ai magistrati parlò addirittura di telefonate tra Zonin e il governatore di Bankitalia. «Lo escludo», ribatte l’ex padre-padrone di Bpvi. E rimanendo alle questioni di Palazzo Koch, si parla del fenomeno delle «porte girevoli»: ispettori, ma anche finanzieri e magistrati che finirono alle dipendenze di PopVicenza. Per tutti, la stessa risposta: «Non era compito del presidente assumere il personale. Se si trattava di un dirigente decideva Sorato e portava la nomina al consiglio, altrimenti no. Ma io, da imprenditore, guardo se le persone sono brave, se sono serie e oneste, se sanno portare avanti la banca. Questo guardavo. Il resto non era compito mio...».

Banca Etruria

Ai commissari interessa capire anche gli interessi che legano PopVicenza a Banca Etruria. Zonin ostenta sicurezza: «C’era stata indicata la possibilità di acquisirla. Se ci fossimo riusciti saremmo diventati il secondo istituto della toscana, dopo Monte Paschi. Ci rivolgemmo a Mediobanca per capire il prezzo e arrivammo a disporre un’Opa da 212milioni e 500mila. Ma dopo qualche giorno ci hanno risposto che non ritenevano di accettare, e quindi il capitolo si è chiuso». Ha incontrato il governatore Visco a Roma per discutere di Etruria o Veneto Banca? «Per Etruria no, per Montebelluna non mi ricordo, può darsi che gliene abbia parlato». Colloqui con il ministro Maria Elena Boschi o con suo padre? «Non li conosco e non li ho mai visti». Più in generale, spiega, «i rapporti con la politica non ci sono mai stati se non con chi rappresentava le istituzioni, come ministri, sottosegretari, sindaci… Ho il massimo rispetto per le figure istituzionali ma con 118mila soci, e ciascuno che la pensa a modo suo, la banca doveva mantenersi equidistante dagli schieramenti politici».

Le baciate

Zonin spiega che a decidere dei finanziamenti erano il direttore generale (Samuele Sorato), il direttore crediti, il comitato esecutivo… «Solo per gli importi sopra i 50 milioni la pratica arrivava al consiglio di amministrazione». I controlli erano continui. «Bankitalia ne faceva un anno sì e uno pure. Inoltre avevamo 70 dipendenti all’Audit (l’organo di autocontrollo, ndr) che dovevano controllare le filiali se si comportavano in modo corretto. E fino a maggio 2015 al Cda non è mai arrivata notizia di operazioni non previste». È un punto sul quale Zonin tornerà spesso: «Non era compito mio né del Cda». Come stabilire il prezzo delle azioni, che stando all’inchiesta della procura di Vicenza era stato gonfiato a dismisura: «Bankitalia ci disse che quel lavoro andava fatto da un perito indipendente e ci adeguammo: il perito ci dava un valore massimo e uno minimo, e il Cda sceglieva». Insomma, nessuno gli parlò mai delle baciate «fino a quando non mi ha convocato l’ispettore della Bce e mi ha detto cosa aveva scoperto»

L’incontro con Visco

Dell’esistenza di finanziamenti baciati «io l’ho saputo il 7 maggio 2015 dal capo ispettore Bce che mi ha convocato d’urgenza a Milano», ha puntualizzato Zonin, che ha riferito di averne subito chiesto conto telefonicamente al direttore generale. L’ex presidente della Popolare di Vicenza Gianni Zonin non ha mai incontrato il governatore di Bankitalia Vincenzo Visco per parlare di Banca Etruria. Rispondendo alla domanda dell’onorevole Carlo Sibilia (M5S), se avesse mai incontrato Visco per parlare delle operazioni di acquisizione di Etruria e di Veneto Banca, Zonin ha risposto «non è che mi ricordo tutto. Ho incontrato negli anni della mia presidenza due volte il governatore Visco e una volta Draghi. Può essere che abbia parlato di quell’argomento». Incalzato sul fatto se avesse mai contattato telefonicamente i vertici di Bankitalia ed in particolare il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo per parlare di Etruria e Veneto Banca, Zonin ha affermato che «sono argomenti cosi importanti che non rammento di averne parlato al telefono. Se c’era una cosa importante lo facevo di persona. Non lo escludo ma in questo momento non rammento, ma una cosa cosi importante non l’avrei fatta al telefono ma sarei venuto a Roma». «Ordini da parte della Banca d’Italia per dire di fare un’acquisizione non ne abbiamo mai ricevuti».

La rabbia e il dolore

Quello che si è mostrato alla Commissione non è soltanto Zonin il banchiere, o Zonin l’imprenditore. Seduto sui banchi del palazzo romano c’era anche l’ex «re» cacciato dal suo trono. Un parlamentare gli ricorda, con un pizzico di sadismo, che i veneti si fidavano ciecamente di lui. Soprattutto le aziende. «È vero. Sono un imprenditore e ragiono da imprenditore. Quindi capisco il disagio. Però non possiamo trovare un’unica causa per ciò che è successo. I motivi sono tanti, a cominciare dalla crisi che ha espanso il volume dei prestiti deteriorati». E poi c’è stato l’ordine di trasformarsi in Spa: «Ci hanno dato solo tre mesi di tempo. Quando si è in corsa e si cambiano le regole, è difficile aggiustare le cose. Qualcuno forse ha scelto qualche scorciatoia, per mettersi a posto…». Poi, torna a ricordare che «anch’io e la mia famiglia abbiamo investito e abbiamo perso». E infine, dopo aver passato tre ore a scaricare la responsabilità di ogni decisione su altri («Il sottoscritto non aveva alcuna delega né potere se non quello riservato al presidente e il compito di tutelare l’immagine del nostro istituto») si prende il tempo per un’ultima stoccata, sul tracollo della Vicentina seguito alle sue dimissioni: «Iorio (l’ad che guidò l’istituto nei giorni più bui), ha contribuito molto al disastro della nostra banca».

Il teatrino dell’assurdo

Basta così: il presidente Casini interrompe per il rischio che l’intera audizione di trasformi in un teatrino dell’assurdo, con Zonin che dispensa giudizi e consigli su quale sia il modo migliore per gestire una banca. Per il commissario Paolo Tosato (Lega), a sentire l’ex presidente «non aveva poteri, non ricorda i fatti accaduti, non sapeva delle conversazioni né delle assunzioni». L’ultima parola se la prende il presidente del Pd, Matteo Orfini, che avanza l’ipotesi che la commissione convochi Sorato perché — dice — Zonin «è sembrato un passante».

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