4 aprile 2018 - 08:06

I cent’anni di Amenduni. L’eterna giovinezza di un inflessibile ottimista

Vicenza, il secolo del patriarca Nicola. L’azienda, la famiglia e la religione del lavoro: «No al pessimismo»

di Federico Nicoletti

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VICENZA «La mia generazione era sostanzialmente ottimista. Vedeva davanti a sé prospettive di miglioramento che poteva raggiungere grazie alle capacità individuali e all’impegno. Oggi vedo purtroppo tanto pessimismo e tanta sazietà». In cent’anni ha visto passare il fascismo e il disastro della seconda guerra mondiale, gli anni della fame e della ricostruzione e quelli del boom, le crisi dello choc petrolifero degli anni Settanta e del crac Lehman d’inizio terzo millennio. Compie cent’anni giusto oggi, Nicola Amenduni, il vulcanico imprenditore pugliese delle macchine per l’olio trovatosi catapultato per amore della moglie Mariuccia, a fine anni Cinquanta, a Vicenza, a trasformare le acciaierie Valbruna del suocero Ernesto Gresele nella corazzata che continuano ad essere. Eppure, nonostante le cento primavere, chi lo conosce da vicino dice che sa ancora interpretare con lucidità il presente, senza indulgere in facili nostalgie. Capace di riconoscere il tarlo che corrode il nostro tempo, come mostra la dichiarazione iniziale, che sta in una pagina della sua autobiografia «Olio, acciaio e fantasia», scritta due anni fa. Per chiedere però, senza vederci nulla d’irreversibile, di fare largo ai giovani: «Le idee e le iniziative per crescere hanno bisogno di essere lasciate libere. Se non offriamo ai nostri giovani queste condizioni saranno altri a portarle avanti e noi staremo qui a lamentarci dei cervelli in fuga».

Nicola Amenduni al centro nella foto con la moglie e i cinque figli Michele, Maurizio, Ernesto, Massimo e Antonella  (archivio)
Nicola Amenduni al centro nella foto con la moglie e i cinque figli Michele, Maurizio, Ernesto, Massimo e Antonella (archivio)

L’entusiasmo di un giovane

«Lui continua a vedere il mondo con l’entusiasmo di un giovane - racconta l’industriale vicentino Adamo Dalla Fontana -. Non ho mai sentito Nicola Amenduni dire ‘ai miei tempi’, tipica frase in cui inciampano i vecchi. Mentre l’ho sempre sentito analizzare la situazione per trovare la via da percorrere, per reagire alle situazioni difficili aprendo spazi nuovi». «Non ha tempo: è in giro», dicono in famiglia, a Vicenza, alla vigilia del compleanno che vale un secolo, a chi prova a forare la proverbiale riservatezza chiedendo qualche dichiarazione. La famiglia e l’azienda. La moglie e i cinque figli Michele, Maurizio, Ernesto, Massimo e Antonella e le acciaierie Valbruna da far crescere. Binomio da etica calvinista. O più semplicemente espressione di un Sud rigoroso, di stampo contadino, non ancora piegato dalle scorciatoie dell’assistenzialismo. «Devo ringraziare mio padre per avermi fatto scoprire il significato del lavoro: mi ha spiegato che solo se sapevo lavorare potevo, dopo, comandare», scrive Nicola nella sua autobiografia.

Il lavoro eretto a religione

Ovvio che sul lavoro eretto a religione non potesse non trovare il modo d’intendersi, in Veneto. Salvo non aver mai sopportato, con il suo metro inflessibile, certe facili furbizie sotto banco di queste parti. Come quelle dei capetti che fan la cresta sulle forniture in Valbruna, che incrocia al suo ingresso e fa mettere alla porta. Lo stesso meccanismo, moltiplicato in maniera industriale, di un Veneto troppo indulgente e autocompiacente verso se stesso all’origine del disastro di Popolare di Vicenza. Negli anni d’oro dell’èra di Gianni Zonin gli Amenduni primi azionisti provano ad opporsi e si trovano emarginati. E perdono 90 milioni nel tracollo delle azioni, mentre in tanti trovano la scorciatoia giusta per vendere.

La banca

«Nicola Amenduni non ha voluto farlo, perché non dicessero che era stato lui a far cadere la banca. Ci ha perso una fortuna. Mi pare ci sia solo da imparare da chi tiene una linea del genere», riassumeva giusto due anni fa al Corriere del Veneto l’industriale vicentino della giostra, Alberto Zamperla. Fatale che oggi, una città impoverita e violentata nel profondo, torni a guardare ad Amenduni. «Peccato sia però la stessa città che non lo vuole festeggiare, riconoscendo almeno quanto abbia fatto per Vicenza - aggiunge oggi Zamperla -. Lo trovo assurdo». Quante ne abbia fatte, Amenduni, vale anche su un altro versante. «A cent’anni è ancora in azienda, ha fatto del lavoro una religione, ha accumulato, ma non sa cosa sia l’adagio ‘roba mia vientene via con me’ - dice Giancarlo Ferretto, altro decano dell’industria vicentina e veneta -. Nicola è però soprattutto un generoso. Da benefattore, in silenzio, ha fatto tantissimo. Lo lasci dire a me, da presidente della Fondazione San Bortolo che sostiene l’ospedale». Forse, al traguardo dei cent’anni, lo stile di una vita è ancora una volta condensato in una delle frasi che Amenduni dissemina nella sua autobiografia: «In vita mia ne ho fatte tante e tante ancora avrei in mente di farne: non smetto mai di progettare nuove iniziative. È più forte di me». E allora buon compleanno, Nicola.

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