10 aprile 2018 - 12:12

Bologna, Zuppi e la serata al Tpo: «Basta trincee, io sono libero»

Il vescovo lunedì prossimo sarà al centro sociale per parlare del libro del Papa: «Solo il dialogo può chiarire le ambiguità»

di Claudia Baccarani

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BOLOGNA - Come anticipato dal Corriere di Bologna, il vescovo Matteo Zuppi parteciperà lunedì prossimo a una serata del Tpo, storico centro sociale di Bologna, dove è stato invitato per parlare di Terra, casa, lavoro, il libro che raccoglie tre discorsi del Papa tenuti durante altrettanti incontri mondiali con i movimenti popolari (Roma 2014 e 2016, Bolivia 2015), distribuito conIl Manifesto. Un debutto assoluto per l’inquilino di via Altabella che, a proposito del dibattito sull’ora di religioni, preferisce invece sospendere il giudizio in attesa di approfondimenti, anche con il docente interessato.
Com’è nata la serata del Tpo?
«È nata da una richiesta loro, di confronto sulla riflessione che sempre loro avevano avviato con questo libro che raccoglie le parole rivolte ai movimenti popolari, i Sem Terra e altri. C’è stata una riflessione attenta su questi temi ed è arrivato un non scontato invito al vescovo».
Non scontato, quindi sorprendente?
«A me non ha sorpreso — ride — perché se c’è qualcosa che deve fare il vescovo è essere vicino alle tante componenti della vita di tutta la città. Tanto più su una riflessione che riguarda papa Francesco: solo il dialogo può chiarire ambiguità di interpretazioni che sono sempre possibili».
Questo significa dialogo con e dentro i centri sociali, anche se spesso finiscono al centro delle cronache cittadine?
«Lo ripeto: penso che il dialogo non significa mai ambiguità, anzi, il dialogo e ciò che le chiarisce, le ambiguità. A volte, come i Farisei, pensiamo che vedere Gesù che mangia con i peccatori vuole dire che li giustifica o è peccatore anch’esso... ed è una mentalità farisaica, nel Vangelo è evidente... Non voglio dire che di questo si tratta al Tpo, ma tenere aperto il dialogo con tutti è il modo con cui si evitano i pregiudizi, attraverso cui si può creare qualcosa di nuovo, andare oltre le contrapposizioni e indifferenze pericolose. La città è una e dobbiamo capire tutti insieme dove vuole andre».
Secondo lei, dove?
«Mi viene in mente una parola pronunciata dal cardinal Bassetti (dal 2017 presidente della Conferenza episcopale italiana, ndr), che con essa ha indicato il ruolo della Chiesa nella società italiana: ricucire. Credo che ci sia tanto da ricucire di rapporto, relazione e incontro. Abbiamo creato dei mondi paralleli con contatti limitati, spesso distanti, quindi con delle pre-comprensioni e il dialogo è il modo con cui incontrarsi sui temi dei valori, dei problemi concreti da risolvere».
Ciò non toglie che, tornando a lei ospite del Tpo, si tratta di una prima volta assoluta per Bologna. Un debutto che forse lascia qualcuno interdetto. Anche perché la città era abituata ai suoi predecessori che avevano un concetto e una presenza decisamente diversa sul territorio.
«C’è un pregresso di cui ormai sono abbastanza edotto, ma da cui sono anche libero. Era anche un mondo diverso. Come ha detto di recente Monsignor Ernesto Vecchi, lui andò a parlare alla Festa dell’Unità... I luoghi dell’incontro sono quelli dove ci sono le persone. Con la fine delle ideologie e di una contrapposizione che aveva anche un valore simbolico, non vorrei che noi restassimo ancora con delle geografie, delle trincee che non hanno più riscontro nella vita concreta».
Si aspetta che arriveranno critiche?
«Critiche ci sono sempre, può essere».
A proposito di questo, c’è chi dice che lei è troppo di sinistra.Come risponde?
«Credo che sia una lettura veramente sbagliata, il vero problema è vivere nel Vangelo l’appartenenza alla Chiesa. Questa è l’unica vera collocazione. Credo che sia molto in discussione, in assoluto e da diversi anni, che cosa significa essere di destra o di sinistra. Io ho sempre pensato che la vera divisione è tra persone perbene e non perbene. Un tempo si sarebbero chiamati galantuomini, quelli che fanno l’interesse comune, senza convenienze».
Quelli del Tpo lo sono?
«Il fatto stesso di invitarmi a parlare significa che ci può essere un terreno comune di confronto. E poi parlare non significa pensare le stesse cose. Certo, ci potrebbe essere qualche fraintendimento».
A che cosa si riferisce?
«Un tempo si sarebbe detto che vengo usato, diciamo. Ma potrebbe esserci anche la preoccupazione contraria. E questa è la fine del dialogo. Non ci deve essere alcuna strumentalizzazione, ma il confrontarsi sui problemi. Visto che siamo tutti più individualisti, bisogna ricucire il tessuto delle relazione».
A proposito di ricucire, è preoccupato dalla situazione politica nazionale?
«Bisogna dare risposte serie, non ingannare creando illusioni che non si possono rispettare. Ci sono tante macerie, viviamo troppo in una logica di emergenza, c’è bisogno di prospettive e credo che per il suo ruolo l’Italia, con l’orgoglio di una storia e una cultura come quella del nostro Paese, possa ancora dare tanto all’Europa e al mondo».

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