La lezione del 25 Aprile per una nuova liberazione del paese

Il 25 Aprile celebra la liberazione e ricorda un grande atto fondativo per il nostro paese. Dalla tragedia della guerra nasce il dono dei partigiani e della liberazione degli alleati, che mettono in gioco la loro vita per un ideale superiore. Il dono è per sua natura eccedente, per certi versi assurdo, ed è proprio la sua generosità ed asimmetria a fondare e cementare nel tempo relazioni di amicizia, solidarietà ed alleanze. Così è stato per una generazione, quella dei nostri padri e madri che hanno vissuto ricordando con commozione il giorno della liberazione, l’arrivo degli americani e il sacrificio dei partigiani. Dopo quel dono è arrivato il dono economico del piano Marshall. I doni sembrano assurdi se letti nella logica del do ut des di breve periodo. Sono invece profondamente lungimiranti ed intelligenti. La liberazione e il piano Marshall hanno costruito le basi per la prosperità economica futura e la solidità dell’alleanza politica dell’Occidente negli anni a venire.

Questi ricordi si stanno un po' sbiadendo nel tempo. Nelle polemiche di questi giorni si parla del fatto che per i giovani e per alcune forze politiche quell’atto fondativo assume poco significato. Che la voce degli ultimi partigiani non è ascoltata dai giovani. Dobbiamo chiederci il perché. Il motivo principale è la distanza temporale da quell’atto fondativo. Per le nuove generazioni quel dono non è parte della loro storia. E la loro distanza e tiepidezza sembra volerci ricordare che oggi abbiamo bisogno di un altro dono, di un altro atto fondativo, di un altro balzo in avanti lungimirante per evitare questa volta nuove possibili tragedie all’orizzonte.

L’Unione Europea se vuole salvarsi ed arrivare preparata al prossimo shock deve passare dalla logica del braccino corto a quella del piano Marshall, stimolando e rilanciando il piano di investimenti pubblici europei e costruendo un sistema più solido fatto di cooperazione e condivisione del rischio che finisce per rinforzare tutti perché gli anelli deboli della catena mandano in crisi anche gli anelli forti.

Nel nostro paese invece le forze politiche uscite dal confronto elettorale devono avere il coraggio di mettersi attorno al tavolo per confrontare i programmi e parlare di ipotesi di governo (e, non ultimo, far sentire la loro voce in Europa).  Le cronache di questi giorni sono piene invece di risse e risentimenti, offese e ricordo delle ferite del passato, arroccamenti e veti. Un grande atto fondativo recente è stato quello della nascita del nuovo Sudafrica. Dove Desmond Tutu e Nelson Mandela (che di cicatrici e ferite ne aveva non poche) hanno avuto il coraggio di voltare pagina. Con l’approccio della giustizia riconciliativa i tavoli tra vittime e carnefici, neri e Afrikaneers hanno saputo condividere torti e ingiustizie. Quel processo/percorso è stato fondamentale per far nascere il nuovo paese. Il percorso nuovo di quei leader illuminati ha sicuramente messo in subbuglio i loro bacini di consenso e le resistenze da vincere sono state molte. Ma nessuno di loro è stato schiavo dei sondaggi del giorno dopo (che per fortuna non erano allora così pervasivi). Si parla tanto in questi giorni di questo quando i politici iniziano a fare aperture. I grandi cambiamenti richiedono una conversione (un cambiamento di direzione di marcia) dei leader come di tutti i cittadini, che non devono avere a cuore solo l’interesse della propria parte ma quello del paese).

Siamo sicuri di non essere all’altezza del Sudafrica, siamo sicuri che i torti e le ferite (verbali per fortuna) tra le forze politiche nella passata legislatura sono così gravi devono impedire di sedersi attorno ad un tavolo con la speranza che nasca qualcosa di nuovo ?

I sogni si devono comunque fondare su qualche base concreta e la base c’è. I programmi politici non sono così distanti. Uno dei tre maggiori partiti delle elezioni ha dato incarico ad un amico e collega, Giacinto della Cananea, di cercare linee di contatto tra i diversi programmi elettorali. Molti commentatori hanno pregiudizialmente bollato l’operazione. Non so se hanno letto bene il documento che identifica 51 punti su cui le forze politiche possono lavorare insieme (dall’efficientamento della burocrazia e della giustizia, alla tutela del made in Italy, alla riforma del fisco, all’allargamento della rete di protezione per i più deboli, al sostegno alle famiglie). 51 punti non sono pochi. In verità esiste un solo grande discrimine che è quello relativo alla gestione del deficit e del debito. Si vuole continuare a percorrere la strada di un lento ma costante miglioramento oppure si intende spostarsi in acque tempestose che portano fuori dalla moneta unica verso il default finanziario del paese ed un’avventura rischiosissima ?

Gli atti fondativi della liberazione saranno la premessa per quella splendida sintesi che è la nostra Costituzione che mette assieme le tre visioni e famiglie del paese (cattolica, socialcomunista e liberale). L’art 3 sul bene pubblico è un capolavoro da questo punto di vista perché pone l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli alla piena realizzazione della persona (mettendo assieme pari opportunità, bene comune nella dottrina sociale della chiesa e rimozione di lacci e lacciuoli alla libera iniziativa).

Chi ha letto i programmi sa che le possibilità di un accordo ci sono. Ed è quello che il paese aspetta per risolvere i suoi problemi. Ma ci vogliono dei Mandela, dei Desmond Tutu, dei Roosevelt, o qualcosa di simile ai nostri padri costituenti. Forse, anche qualcosa di meno è sufficiente. Ce la faremo ?

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