Firenze

Pugno chiuso e collettivi, la parabola underground di un livornese che ha scelto Milano

Luca Falorni presenta da Taragaruz, il suo libro "Voci possenti e corsare"

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LIVORNO - Autoritratto autoironico di un ribelle antagonista as a young man. Cresciuto nella Livorno anni ’70 “con il Partito come il babbo e con la ’ompagnia dei portuali come mamma”. Liceale e universitario negli ’80 “con le stimmate della sfiga”, finito a vendere Lotta Comunista porta a porta, tra occupazioni, speranze un po’ ingenue di rivoluzione culturale e politica negli anni ‘90, la disillusione definitiva nei primi anni 2000. Fino a preferire di essere prof di lettere precario a Milano che disoccupato (e magari piddino o grillino) all’Ardenza.

Sarà presentata domani, sabato 17 febbraio a Livorno, ore 17.30 da Taragaruz (negozio vintage in via Ernesto Rossi 23), la parabola underground ironica, amara, scorrevole, di “Voci possenti e corsare. La Livorno ribelle dagli anni Ottanta a oggi” (Agenzia X), un po’ saggio un po’ romanzo, autore Luca Falorni, classe 1965, diploma al classico Niccolini-Guerrazzi, oggi prof ma non più precario, videomaker e “manovale della cultura”.
Il libro, suggerito e pubblicato dall’editore-guru di cultura alternativa Marco Philopat (autore tra l’altro della “Banda Bellini”), è diviso in parti nette: un testo di apertura, sospeso tra autobiografia e romanzo di formazione (qualità della scrittura eccellente, ironia a mille), seguito un corpus di interventi di intellettuali locali. Quindi  una cinquantina di testimonianze di attivisti di spazi sociali che hanno movimentato dal basso la Livorno ufficiale, quella governata dai rappresentanti della transizione dal PCI al PD fino al giugno 2014, quando la vittoria dei Cinque Stelle alle amministrative ha spiazzato un po’ tutti rompendo equilibri che parevano eterni e intoccabili.

In pratica si ripercorre la storia livornese degli ultimi tre decenni del secolo scorso a Livorno, e il primo quindicennio dei 2000, sul filo del movimento antagonista alla politica ufficiale. Movimento che, spiega Falorni,  “è partito in una Livorno, quella degli anni ’80, in cui si faceva politica perché non si sapeva cosa cazzo fare, non c’era nessun locale in cui andare, in confronto ad allora oggi la città pare Disneyland”. 
Movimento inizialmente atipico rispetto agli altri movimenti italiani, soprattutto per i buoni rapporti con il PCI. "Diciamo che il PCI negli anni ’80 era come un parente stretto – precisa Falorni - DS un parente di 3° o 4° grado un po’ antipatico, il PD il nemico di classe".

Le vicende del libro si snodano tra luoghi fisici e di elaborazione culturale come Collettivo spazi sociali, Villa Sansoni, Godzilla, Teatrino occupato, Teatro del Porto, la Fabbrica, Teatrofficina Refugio, Federazione anarchica, lo stadio, Caserma occupata, Centro politico 1921, “Senza Soste”, associazione Don Nesi, L’impulso, Centro per la pace, Teatro Mascagni, i fondi…

Una  ricostruzione sferzante che tocca tanti temi, dalla droga diffusa in città, prima in periferia poi ovunque, alla chiusura delle fabbriche e dei cinema, alla mancanza di una politica culturale convincente e condivisa. Il tutto a suon di musica e di teatrini off. Molti vi si riconosceranno, altri inorridiranno, urtati.
Difficile invece restare indifferenti: nel bene (poco) e nel male Falorni fotografa un’epoca, e documenta da un preciso punto di vista - il suo - una Livorno appunto con tanta musica underground in un locale che si chiamava The cave, e tanta droga,  lontanissima dalle atmosfere dei film di Virzì e dalla mitologia della città scherzosa e accogliente, un po’ ignorante ma tanto bonaria.
Definitivamente smitizzata dalla “vicenda più agghiacciante di razzismo degli anni zero in città e nell’Italia intera”, cioè la reazione della città alla morte dei quattro bambini rom nel rogo della loro baracca, che a suo avviso ha spazzato definitivamente via il mito “della pietas labronica”. Vicenda che gli ha confermato:"Ho fatto bene a andarmene".