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Vi spiego come e perché Isis e russi sono maestri di fake news. Parola di Kip Knight

Mentre la presidente della Camera Laura Boldrini annuncia al New York Times il lancio del suo progetto per le scuole per formare i “cacciatori di bufale”, giova chiedersi cosa siano queste “bufale” (in inglese, più sobriamente fake news) e se davvero basti una notizia distorta, seppur con gli intenti peggiori, a mettere in pericolo la democrazia. Dato l’uso spropositato che oggi si fa del termine sui giornali e in ambito accademico, non resta che appellarsi a chi il web lo studia e viviseziona per professione.

Kip Knight, esperto americano di comunicazione e marketing con una carriera pluridecennale che si snoda fra il Dipartimento di Stato e multinazionali come Pepsi, Procter&Gamble, KFC, Google ed eBay, ha dedicato un’intera vita a combattere le fake news. Oggi dirige lo US Marketing Communication College (USMCC), un’organizzazione pro-bono che lavora con il dipartimento di Rex Tillerson per formare i diplomatici e nei giorni scorsi ha tenuto un incontro all’ambasciata americana presso la Santa Sede. Perché parlare di fake news con una piccola delegazione di giornalisti e non dinnanzi una platea più ampia? “Perché voi avete la responsabilità di vigilare su una corretta informazione” taglia corto Knight, “le fake news sono un problema crescente e c’è bisogno che mettiate la gente al corrente del pericolo”.

Curioso che uno dei massimi esperti di comunicazione al mondo, da anni impegnato in una crociata contro le bufale del web, abbia lavorato come dirigente del marketing nelle più grandi multinazionali del globo. In fondo, per creare una pubblicità efficace, non è forse necessario amplificare, addolcire, persino distorcere la realtà? In effetti, ci sono stati incidenti di percorso durante la sua carriera nel marketing. Come quando, a capo della comunicazione del colosso del fast food americano Taco Bell, tappezzò il web con foto della Campana della Libertà (Liberty Bell) di Philadelphia, simbolo della rivoluzione americana, con la scritta “Sponsored by Taco Bell”. Il pesce di aprile non fu apprezzato, e Knight dovette chiedere ufficialmente scusa ai patrioti offesi.

Ma le fake news non hanno nulla a che vedere con uno scherzo, seppur di cattivo gusto. “Non parliamo neanche di semplici equivoci, come quelli che può avere ogni giorno un marito con sua moglie” chiarisce l’esperto, “ma di deliberate bugie con il preciso scopo di disinformare”. Il web oggi ne è disseminato. Alcune bufale sono facili da riconoscere, e dunque più innocue. Negli States, ad esempio, esiste la Flat Earth Society, un’associazione che ha un solo scopo: dimostrare che la terra è piatta (Non ci credete? Ecco il sito). Fra i supporters dei terrapiattisti, o almeno così fa loro credere, c’è anche un celebre ex giocatore di Basket, Shaquille O’Neal.

Non è l’unico caso di una star che presta la sua immagine per campagne dal dubbio rigore scientifico. Il 4 giugno 2008 il celebre attore comico Jim Carrey, assieme alla sua ex compagna, l’attrice statunitense Jenny McCarthy, guidò una marcia verso Washington del movimento “Green our vaccines“, di cui è ancora promotore, accusando i vaccini di causare l’autismo, malattia di cui suo figlio è affetto.

Ben più pericolosa però è la disinformazione che riesce a mimetizzarsi nel mondo dei media, e persino a coprirsi con un velo di credibilità. In questo, Knight non ha dubbi, i russi sono maestri da sempre: “Dagli anni ’20 sono i leader delle fake news. Nel 1982 sostennero che gli Stati Uniti volessero usare il loro arsenale nucleare contro gli alleati della NATO, nel 1985 perfino che gli americani avessero inventato l’Aids”. Ci sono due motivi per fabbricare fake news, spiega Kip: “O per motivazioni politiche, oppure per fare un sacco di soldi”.

Alcuni siti russi sembrerebbero rientrare nella prima categoria. RussiaToday e Sputnik sono due esempi conosciuti. Meno nota, ma più pericolosa, è la Internet Research Agency (IRA), “un’organizzazione specificamente creata per fabbricare fake news per ragioni politiche”. Furono i russi dell’IRA a diffondere nel novembre 2014 le foto (false) di un incendio in un impianto chimico in Louisiana sostenendo fosse un attacco terroristico. Per l’occasione fu creata una finta pagina su Wikipedia, costruiti ad hoc video su youtube, pubblicati falsi tweets allarmistici di rispettabili giornalisti della CNN. Come si spiega una simile organizzazione? La risposta di Knight è preoccupante: “Ci sono migliaia di persone che lavorano per l’IRA, ogni due anni cambiano quartier generale, anche se i russi dichiarano che non esiste”.

Sul podio dei migliori fabbricatori di fake news al mondo, con una medaglia d’argento, c’è anche l’ISIS. Se il califfato arranca nelle battaglie “boots on the ground” in Siria ed Iraq, la macchina della propaganda online rimane attiva h24. “L’ISIS ha 3 diverse unità di produzione mediatica, usa grafiche di alta qualità, e riesce a combattere una guerra reale con armi psicologiche” spiega Knight. “La più efficace è la loro applicazione Dawn, che ogni giorno pubblica circa 40.000 tweets”. Mentre l’esercito iracheno si apprestava a dare l’assalto finale a Mosul, gli esperti di fake news del califfo twittavano, con la speranza di conquistare qualche foreign fighter alla causa, “Decine di migliaia di soldati di Daesh marciano verso la battaglia”.

Come riconoscere e bloccare i venditori di fake news? Una responsabilità ce l’hanno i grandi provider del web, spiega Kip Knight, non senza togliersi qualche sassolino dalla scarpa verso gli ex datori di lavoro. Come Google, che “non oscura questi individui e permette loro di spargere bugie perché c’è un conflitto di interessi fra il diritto delle persone alla verità e i click online”. C’è n’è anche per eBay, che fa poco contro i venditori fraudolenti, “il 99% dei quali proviene dai paesi dell’Europa orientale”. E infine per facebook, “che con 2 miliardi di utenti è il più grande Paese al mondo e ha un potere preoccupante. Fino a qualche anno fa era una piattaforma senza alcuna responsabilità, adesso hanno cominciato a cambiare, specie da quando alcuni Stati, come la Germania, hanno minacciato di chiedere un risarcimento fino a mezzo milione di euro per ogni fake news pubblicata”. Insomma, conclude l’esperto, “Se non trovano un modo per regolare il fenomeno, come succede nel mercato, dovranno farlo i governi”.

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