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La sfida globale della Cina agli Usa spiegata dallo 007 della Cia

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L’obbiettivo della Cina è prendere il posto degli Stati Uniti come potenza leader globale, per questo il presidente Xi Jinping ha avviato una “guerra fredda” contro l’America. Il pensiero espresso da Michael Collins, uno dei massimi dirigenti della Cia (East Asia Mission Center, il suo ambito direttivo), è perfetto nella sua schiettezza. Se si cercasse una risposta profonda a quello che ormai quotidianamente sentiamo uscire su dazi, scontri commerciali, minacce, provocazioni, confronto in genere, starebbe in quella dichiarazione, che Collins ha regalato al pubblico dell’Aspen Security Forum — la conferenza specialistica su geopolitica e sicurezza ogni anno porta sul palco pezzi da novanta del settore, e alla fine le questioni discusse e le dichiarazioni riempiono i media per settimane.

“Quel che fanno contro di noi è letteralmente una guerra fredda, non quella Guerra Fredda che abbiamo conosciuto, però”, ha detto il quadro della Cia, spiegando che è qualcosa di più accademico: Pechino usa tutte le misure, “lecite e illecite, pubbliche o private, economiche e militari”, dice Collins, al fine di minare la nostra posizione nel mondo, ma senza arrivare a un conflitto, perché “la Cina non vuole il conflitto”.

Nel ruolo che ricopre Collins si ottengono molte informazioni e analisi riservate, che (si presume) fanno da fondamento a quel che dice, e per questo è interessante e importante. Quelle stesse analisi (si presume) arrivano allo Studio Ovale sotto forma di briefing di intelligence. Se Collins parla, Donald Trump è informato già da tempo, e dunque diventano più chiare le motivazioni che spingono certe azioni e dichiarazioni. Per esempio le parole rimbalzate in tutto il mondo che il Prez ha affidato, stavolta, all’intervista con Joe Kerner della CNBC: sono pronto ad alzare tariffe maggiorate su tutti i 500 miliardi di prodotti che la Cina esporta negli Stati Uniti, ha minacciato. E poi l’accusa ai cinesi di manipolazione monetaria ai danni del dollaro, che è il vettore con cui gli Stati Uniti esercitano il loro imperialismo.

L’America si difende, o meglio difende i propri interessi, è preoccupata di fondo di non poter essere più l’America mondiale che conosciamo (non è una questione di giudizio: piaccia o meno, insomma, questa presenza globale che gli Usa hanno imposto al mondo). C’è un’azione oggettiva che il dirigente dell’Agenzia mette nero su bianco, ma che tante decisioni prese al Congresso, per esempio, hanno mostrato con altrettanta chiarezza. Sulla Cina si va in blocco, non c’è come nei rapporti con la Russia una discrepanza tra amministrazione, dipartimenti, congressisti: l’opposizione a Pechino non ha nemmeno colore politico, l’America First diventa dottrina praticamente bipartisan. (La sensazione che il dossier Cina fosse quello su cui l’amministrazione Trump è più concentrata ce l’ebbi chiara ed esplicita anche quando parlai a Roma con Steve Bannon, ex consigliere strategico di Trump e ancora influencer dello Studio Ovale e soprattutto della sua base elettorale): su tutti gli altri argomenti aveva risposto stancamente, ma quando, insieme a Francesco Bechis, toccammo la Cina partì come un fiume in piena, ndr).

Il pensiero politico di Xi Jinping, dice Collins, la New Era (la nuova era di una Cina potenza globale assertiva), è stato inserito nella costituzione cinese: per questo possiamo tranquillamente dire, spiega, che quella con Pechino è “la più grossa sfida che gli Stati Uniti si trovano davanti”. Non c’è niente di clamoroso: la Cia, che Collins in quel momento rappresentava pubblicamente, è stata la terza agenzia di sicurezza statunitense a salire davanti ai riflettori di Aspen e dire certe cose negli ultimi tre giorni. Prima sia il direttore dell’Fbi, Christopher Wray, che quello della National Intelligence, Dan Coats, avevano parlato di Pechino come di “una minaccia per l’America di oggi”. “Lo dico anche dal punto di vista del controspionaggio”, ha spiegato Wray, sono una sfida martellante, “c’è lo spionaggio economico e quello classico, ci sono collettori di informazioni anomali e gli operativi tradizionali, ci sono le fonti umane e quelle che ottengono dalle operazioni cyber” (negli Stati Uniti sono attive circa 25mila agenti cinesi e 15mila reclutator).

I dazi sono un effetto dunque, in mezzo al quale finiscono colpiti anche alleati come l’Europa, che in quest’ottica ha anche la colpa di aprirsi troppo alla Cina. Lo scontro commerciale si porta dietro questioni di dominio: l’intelligenza artificiale o la tecnologia 5G, sono due esempi in cui non c’e solo l’aspetto economico nel confronto Usa/Cina, ma si tratta di raggiungere per primi i successi tecnici per diventare la potenza di riferimento per il settore (regolamenti, scambi, interessi, insomma).

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