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Perché sono scettico sulla visita di Tria in Cina. Parla Forchielli

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In queste settimane, assistiamo a una fase in cui l’interessamento del nostro governo nei confronti della Cina sembra diventato piuttosto palese: nei prossimi giorni, sia il sottosegretario del Mise, Michele Geraci, sia il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, saranno in Cina per creare contatti che possano portare fondi e investimenti in Italia nell’ambito di due missioni sincrone ma separate.

Geraci, a proposito della speciale Task Force Cina creata dal suo ministero, ha scritto su Facebook: “È giunto il momento per l’Italia di cavalcare l’onda cinese, invece che lasciarci travolgere da essa”. Ma sta succedendo qualcosa di particolare? “Non mi pare niente di eccezionale, niente di nuovo, voglio dire. Negli ultimi anni ci siamo aperti alla Cina, e Pechino ha potuto disporre di ciò che voleva in Italia”, risponde a questa e altre domande di Formiche.net Alberto Forchielli, fondatore di Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity sino-europeo, e Osservatorio Asia, centro di ricerche non-profit.

“Per esperienza diretta, posso dire che sono vent’anni che portiamo avanti queste missioni: sono due decenni che ci siamo aperti ai cinesi e i governi precedenti a quello attuale sono stati molto aperti”. Ma si potrebbero, in questo momento, innescare nuove situazioni? “Niente che mi risulti: la storia di Alitalia, dei porti, non sono novità. Sono anni che cerchiamo di proporle a Pechino. Trieste e Venezia come sbocco della Nuova via della Seta navale possono essere interessanti per la Cina, ma il governo centrale ha per certi versi le mani legate visto che poi poi ci sono studi di fattibilità da soddisfare e vincoli locali”.

“Mi pare ci sia molta ingenuità – aggiunge Forchielli – quella di chi affronta il problema per la prima volta”.

Tria andrà a cercare di sostituire gli acquisti di titoli di stato italiani del Quantitative Easing che la Bce interromperà a dicembre con Pechino: è uno schema perseguibile? Come si muove la Cina in questo generi di affari? “Mettiamola così: è bene fare la proposta, portarli all’attenzione, ma dobbiamo tenere conto che la Cina si muove per il 95 per cento su base finanziaria e per il resto politica. Prendiamo l’esempio di quello che fa in Pakistan, Libia o Venezuela: quelli sono Paesi in cui l’interesse politico può portare Pechino a investire, ma un conto è piazzare 20 miliardi in Pakistan un conto è farlo in Italia. Là cambiano le cose, in Italia anche acquistassero 20 miliardi di Btp per noi cambierebbe poco e per loro idem. Investire da noi è più costoso”.

E dunque? “La Cina dovrebbe allora vederci come un interesse politico, e dunque cambiare agenda nel proprio portafoglio e investire molti soldi nel nostro debito, però su questo lasciatemi esprimere scetticismo. A Pechino piacciono le situazioni più stabili e soprattutto più, diciamo così, liberal e free-trader. Ossia, il governo sovranista che c’è in Italia adesso, piace molto meno del governo Renzi e del governo Prodi: i cinesi si fidano molto poco di quel genere di situazioni, al di là del rispetto e della cordialità formale”.

Magari è provocatorio: ma non c’è anche il rischio che l’Italia, se i cinesi dovessero allungare di più i propri tentacoli su infrastrutture e debito, finisca trattata come uno dei paesi finanziariamente più deboli in cui Pechino è penetrata in profondità rendendoli degli pseudo-satelliti? Siamo in un momento in cui i paesi occidentali cominciano a valutare come non troppo vantaggioso l’ingresso cinese nei propri settori strategici, o sbaglio? “Infatti questa missione è in controtendenza e fuori tempo: però in questa fase in cui l’Occidente si sta chiudendo, la nostra esposizione potrebbe anche risultare appealing per i cinesi”.

“Potrebbe però, perché in generale non riesco a vedere come l’interesse di Pechino possa in qualche modo aumentare attorno all’Italia, considerando che tutto quello che i cinesi potrebbero fare qui ha un prezzo molto alto”.

Forchielli fa una riflessione pragmatica: dice che occorre capire dai segnali postumi quanto sarà interessata ai cinesi la visita italiana, e il modo migliore per farlo è seguire i giornali del partito (il China’s Daily o il Global Times, per esempio) per vedere e analizzare che genere di copertura verrà riservata ai rappresentati di Roma – perché, dice, “i cinesi sono fortissimi a fare i brindisi, ma poi attenzione perché le cose possono finire male: un conto sono i brindisi, un altro è la fatica per portare a casa i risultati”.

Ultima battuta: il premier italiano si vanta di aver stabilito una relazione eccezionale col presidente americano, che in questo momento però sta guidando la campagna di chiusura alla Cina del mondo occidentale. Il Mise, annunciando la formazione della Task Force Cina, ha scritto che quello è uno strumento indispensabile per “evitare di restare a guardare passivamente l’asse mondiale spostarsi verso est”: come si concilia questa idea romana con le visioni di Washington? “Ma, non credo che agli americani interessi più di tanto cosa facciamo, o meglio vorremo fare, noi con la Cina”.

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