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Le campane del giustizialismo, parodia della legalità

Può sembrare strano perché, a prima vista, sembrerebbe il contrario, ma la sinistra italiana ha, non da oggi, un problema con la legalità. Le leggi, secondo il pensiero in essa dominante, vanno sì rispettate, ma solo quando sono in accordo, non in generale ma proprio nello specifico, con la propria idea di moralità e persino con le proprie idee politiche.

La giustizia, da formale quale dovrebbe essere secondo i principi del tanto decantato (a parole) Stato di diritto, diventa così sostanziale. Il caso degli sgomberi delle case occupate abusivamente è, da questo punto di vista, emblematico. La stretta annunciata dal Viminale ha generato reazioni da manuale, con gli esponenti del Pd soprattutto (con in prima linea il presidente Matteo Orfini), pronti a denunciare la volontà del governo di buttare in strada famiglie senza altra colpa di essere povere e non potersi permettere un affitto. Ove è evidente la confusione di due piani di discorso che dovrebbero viaggiare separati: la lotta alla povertà, e soprattutto alle sue cause (quindi senza assistenzialismi alla “reddito di cittadinanza”), dovrebbe essere una priorità di un buon governo; il rispetto della legge, da parte di tutti e in ogni luogo, senza extraterritorialità ammesse o comunque tollerate, è invece la conditio sine qua non per l’esistenza stessa di uno Stato e della sua autorità. Il richiamo alla “proprietà privata”, che è “sacra”, da parte di Salvini è, in questa prospettiva, del tutto appropriata, tanto che c’è da augurarsi che non sia un semplice spot ma il frutto di una convinzione profonda.

In nessun Paese occidentale, infatti, la proprietà privata è tenuta in così scarso conto come nel nostro, la cui cultura media, erede di pregiudizi storici e ideologici, sembra non rendersi conto che senza di essa e la certezza del suo possesso viene a mancare proprio quella molla per la crescita economica, che, più che da mille interventi statali, può essere data solo dalla spinta vitale che proviene dai singoli. Certo, l’etica della responsabilità impone di trovare soluzioni alternative per gli sfrattati, ma ciò, se vuole avere un significato, presuppone la necessità di discernere con cura fra di loro i furbi e i profittatori dai veramente indigenti.

Per dar vita a uno scrupoloso censimento (il discorso è in linea di principio valido anche per i cosiddetti “campi rom”), è però necessario prima di tutto ristabilire la legge, cioè il controllo dello Stato sul suo territorio e la garanzia della legittima proprietà privata di chi ne è in possesso, il richiamo del segretario Martina a un “consenso” nelle decisioni è, da questo punto di vista, del tutto fuori luogo: un ministro deve prima di tutto far rispettare la legge, che il politico, in questo caso con il consenso degli elettori e delle forze politiche, può certo in prospettiva contribuire a cambiare. Il guaio è che, purtroppo, alla legalità, i politici e molti italiani sembrano preferire il giustizialismo, che ne è la contraddizione e la parodia.

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