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Sylvia Wetzel

La mitica liberatrice

Dall’Oriente il soccorso di Tara

Estratti dal libro Das Herz des Lotos in Miopia n.34, luglio 1999 - numero monotematico RELAZIONI FEMMINILI. Traduzione dal tedesco di Alice Redetti

La maggior parte delle scuole buddhiste sostiene un ideale ascetico. Il Buddha storico era un monaco e tradizionalmente nel buddhismo le relazioni d’amore vengono viste come un impedimento al cammino. Come grande pragmatico e insegnante compassionevole il Buddha però sapeva che solamente la minoranza avrebbe scelto il cammino del celibato e dell’ascesi.

Sylvia Wetzel
Tara verde
Link da: https://40.media.tumblr.com

La tradizione tantrica ribadisce continuamente che noi abbiamo bisogno di immagini del Risveglio per sviluppare la fiducia della saggezza insita in noi. Se non prendiamo tutto ciò solamente come consigli generali bensì vi includiamo il genere delle divinità e delle/dei praticanti, detti consigli rafforzano la fiducia nelle proprie forze molto più profondamente e ampliamente e in questo modo agiscono anche nella dimensione sociale. Così se le donne si immaginano una donna consapevole, liberata e libera, rafforzano la loro fiducia di essere loro stesse donne per cui la libertà è possibile e ciò al contrario non avviene quando esse ignorano il loro genere.

Ogni volta che ci rappresentiamo creature risvegliate e immaginiamo Dee e Dei, donne e uomini risvegliati abbiamo a che fare con caratteristiche e capacità “divine”. Durante la pratica, proviamo come queste divinità, immaginate dall’apertura del nostro spirito, ci ispirino e donino forza. Ci sostengono veramente nello sviluppo e nella scoperta di chiarezza, apertura energia e gioia. Così cominciamo a presagire l’immensa forza delle nostre rappresentazioni. La differenza con sogni quotidiani inconsci, fantasie irrealistiche e mania di grandezza sta nel fatto che “sappiamo quello che facciamo”. Noi siamo consce/i di immaginare figure di Buddha e seguiamo quindi una iconografia che ha dimostrato la sua efficacia da secoli.

Il Buddhismo parte dal fatto che noi possiamo risanare il dolore emozionale e spirituale quando lo percepiamo obiettivamente e completamente, quando lo accettiamo come parte della vita e riusciamo a slegarci dall’identificazione con esso. La forza dell’immaginazione con la quale ci possiamo rappresentare una vita senza le precedenti identificazioni, gioca un ruolo centrale in questo cammino. Quando lasciamo andare auto-immagini negative e limitate ci sostiene l’identificazione conscia con la divinità che comprendiamo come specchio delle nostre possibilità interiori, come immagine della nostra natura di Buddha.

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La storia del Buddhismo e del Cristianesimo mostra tuttavia sempre come donne e uomini di culture patriarcali abbiano mantenuto nel tempo le loro Dee, proprio anche quando la rispettiva “grande” religione se ne era completamente sbarazzata e le aveva trasformate in Dei maschili o aveva provveduto Dei maschili di qualità e attributi di antiche Dee. Qui si userà in seguito anche per divinità tantriche il concetto di Dio e Dea invece del concetto neutrale di divinità, perché tutte le divinità hanno un genere evidente. A volte esso non è riconoscibile dalle immagini ma le scritture iconografiche ne danno sempre un’indicazione chiara.

Come esempi noti della rinata Grande Dea menzioniamo qui come sostitute delle loro molteplici madri, sorelle e figlie la Vergine e Madre di Dio Maria nel Cristianesimo, la Tara Verde nel Buddhismo tantrico e i Buddha femminili di Mahayana, Prajnapararuita, Kuan Yin così come Kannon. Esse non hanno sicuramente una posizione centrale nell’insegnamento ufficiale, ma la devozione popolare ha fatto sì che l’interpretazione ufficiale sia stata immensamente rettificata. Le tradizioni tantriche del Buddhismo attingono, secondo il parere delle ricercatrici e ricercatori occidentali, al ricco tesoro delle religioni pre-patriarcali dell’India. La "Madre India" ha mantenuto, malgrado 3000 anni di lunga signoria patriarcale dei popoli nomadi ariani del Caucaso, immagini della Dea piene di forza.

La posizione centrale delle donne in società a orientamento femminile viene spesso interpretato, in analogia al Patriarcato (signoria del padre), come Matriarcato (signoria della madre). La si può respingere con la coscienza pulita perché anche le femministe non possono veramente volere l’inversione del patriarcato. Non ci si può occupare di un modello di società in cui le donne non avevano sicuramente una posizione significativa ma gli uomini non erano oppressi come le donne in società patriarcali. La maggior parte dei più eminenti etnologi e antropologi contestano l’esistenza di tali società matriarcali ma molte ricercatrici e ricercatori riconoscono chiari segni di ciò nella mitologia e archeologia.

I culti prepatriarcali in India adorano le Dee e hanno attenzione per le donne, i corpi, la natura. Questo è il retroscena del Buddhismo tantrico che comprende nel Cammino le Dee, i corpi, i sensi, la natura e gli elementi.

Le prime rappresentazioni, rilievi e statue di Tara Verde, provengono, secondo Martin Wilson, dall’India del 5º/6º sec. a C. Nel 7º/8.º secolo il culto di Tara Verde era già molto diffuso. All’inizio Tara era una delle due Dee al seguito del Dio maschile Avalokiteshvara, ma dall’8º secolo ci sono sue rappresentazioni come Dea autonoma. Tara viene adorata per la sua saggezza come madre di tutti i Buddha ed è ritenuta l’incarnazione della compassione attiva. Presso questo semplice popolo era onorata come protettrice dal pericolo e come Dea della realizzazione dei desideri. Ma era adorata anche da molti monaci Mahayana.

Nell’11º secolo il monaco erudito Atisha Dipamkara Srijnan portò il culto di Tara al Tibet. Già dopo 200 anni scarsi una leggenda raccontava che il popolo tibetano discende da Tara e da Avalokiteshvara, la personificazione maschile dell’amore e della compassione. E’ del tutto evidente che il popolo tibetano non abbandonò il suo amore per la Dea neanche dopo l’avvento del patriarcale Buddhismo, e così Tara divenne soprattutto la Grande Dea.

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La leggenda di Tara espone con semplici immagini una critica basilare alla visione mondiale patriarcale del Buddhismo classico. Secondo la leggenda, in un altro tempo da quello in cui il Buddha “Suono di tamburi” insegnava la strada del Risveglio, visse la principessa Saggezza di Luna (Mondengleiche Weisheit). La principessa si esercitò nella meditazione con passione e raggiunse il livello della Realizzazione, nel quale lei poteva scegliere liberamente la sua prossima incarnazione. Di solito i comuni mortali vengono invece “scaraventati” dal vento del Karma in una esistenza adatta alle loro attitudini. I grandi Bodhisattva, come la principessa Saggezza di Luna possono invece “scegliere” le condizioni in cui le loro attitudini si possono esplicare al meglio e che siano propizie per il Camino.

Come un amico monaco sentì della meravigliosa realizzazione della principessa, si congratulò con lei, perché finalmente avrebbe potuto prendere forma in un corpo maschile. La principessa ringraziò il monaco, ma respinse gentilmente il suo consiglio, e proclamò la seguente decisione: “da adesso fino al completo Risveglio prenderò solo incarnazioni femminili, come modello e ispirazione per tutte le donne sul Cammino”. Cosi la principessa Saggezza di Luna promise solennemente e cosi avvenne. Poiché lei condusse col suo operato un numero incalcolabile di esseri umani alla Liberazione, ottenne il nome di “Tara”, la liberatrice.

Dal momento in cui questa storia nacque, venne messa per iscritto e tramandata, ci devono essere stati donne e degli uomini che non potevano più seguire la vecchia tradizione patriarcale e insegnarono strade nuove. La leggenda di Tara riesce a dare coraggio alle donne di muoversi liberamente in una tradizione patriarcale e di cambiarla fin dall’interno. Le leggende religiose di una cultura sono sempre uno specchio fedele del loro sviluppo dal punto di vista storico-culturale.

Accanto a questa leggenda di Tara c’è anche una versione patriarcale. Quest’ultima narra come Tara Verde e Tara Bianca si manifestarono dalle lacrime di Avalokiteshvara per rimanere, in modo del tutto classicamente femminile, a lato di questa divinità maschile dell’amore e della compassione, utili accanto alle sue buone azioni per il bene degli esseri umani.

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Una praticante del nostro tempo si lasciava ispirare dai molti aspetti di Tara e dalla molteplicità di significato del suo nome con un testo poetico:

“I naviganti in mare si orientano con le stelle. Esse indicano imperturbabili la direzione e guidano sicure fino alla meta. Tara, la liberatrice dal Caos e dal Disorientamento. Tara, la protettrice nella traversata pericolosa, sul cammino da qui a lì. Tara, la guida di tutti coloro che nuotano nel mare di Samsara. Nel Mandala di Tara dello Zodiaco si riuniscono tutte le sue innumerevoli figlie e figli e il loro cammino è il Tara-Patha, la via delle stelle. E quando una stella cadente precipita, si realizza un desiderio del cuore. Uno sguardo allo scintillante splendore delle stelle rende immediatamente liberi: un senso di ampiezza, respiro e felicità si fa sentire, un sentore di infinito ma anche di consolazione: non perduto nello spazio infinito bensì curvato e legato al Tutto.”

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La femminista Barbara Walker vede Tara come una forma indoeuropea della Grande Dea, le cui tracce partendo dal Nord Africa e passando per l’Irlanda, Roma e la Grecia arrivano fino in India. Perfino a Hollywood: chi non conosce infatti la tenuta di “Tara” in Via col vento?

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Tara Verde, con il suo voto “femminista” di incarnarsi fino al Risveglio sempre in una donna, ha una particolare relazione con le donne. Forse per questo motivo risulta così facile, anche alle donne occidentali di oggi, stabilire un rapporto con la Dea in forma di Tara Verde.

Sylvia Wetzel

I brani, qui pubblicati per gentile concessione dell’autrice, sono tratti da Das Herz des Lotos – Frauen un Freiheit (Il cuore del loto – Donne e libertà). Traduzione di Alice Redetti.

 

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