Due mantovani in carcere per la benzina della camorra

Maxi evasione fiscale da 65 milioni di euro: sette in manette, 14 gli indagati. Il ruolo della coppia in carcere: vendere carburante sottocosto alle stazioni di servizio

MANTOVA. Lo scopo era evadere l’Iva sul carburante e mettere in commercio benzina e gasolio a prezzi stracciati. Ne beneficiavano – ma solo in apparenza – i benzinai e gli automobilisti, ignari del fatto che il risparmio fosse frutto di un carburante messo in commercio frodando il Fisco, quindi sottraendo qualcosa a tutti i contribuenti. A riempirsi il portafogli erano una famiglia di camorristi e i loro complici. L’operazione antifrode della Guardia di finanza di Brescia – battezzata Free Fuel, tradotto è “Carburante gratuito”, e coordinata dalla Procura nazionale antimafia – è scattata mercoledì all'alba.

Sette i provvedimenti di custodia cautelare in carcere, più due misure interdittive, e 14 denunce in tutto, «nei confronti – spiega una nota delle Fiamme gialle – di un'associazione per delinquere dedita a una maxi frode fiscale per oltre 65 milioni di euro, nel settore dei carburanti con interessi della camorra». Tra le sette persone finite in carcere anche dei mantovani. Sono due uomini sui 60 anni, di cui Finanza e Procura non hanno rivelato il nome e il paese di residenza. Facevano, secondo le accuse, i broker, avevano cioè il ruolo di piazzare il carburante sottoprezzo ai benzinai.

Degli altri arrestati quattro sono residenti in Campania e un altro in Umbria. Le accuse sono di associazione per delinquere con l’aggravante mafiosa, l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, e occultamento di scritture contabili. Tra i documenti sequestrati nell'ambito dell'inchiesta alcuni fogli con indicata la voce "camorra", destinazione finale di parte dei proventi della maxi frode.

L'inchiesta è nata nella fine del 2016, ha spiegato il comandante della Guardia di finanza di Brescia, colonnello Salvatore Russo, «grazie alla segnalazione di alcuni imprenditori onesti, titolari di pompe di benzina a cui era stato offerto carburante sotto costo. Un prezzo troppo scontato per non risultare sospetto».


Il gruppo criminale aveva l'obiettivo di abbassare il prezzo finale del prodotto attraverso società in grado di evitare sistematicamente il versamento dell’Iva. Ed ecco il meccanismo della frode. Il carburante veniva acquistato in nero in Slovenia e Croazia. Quindi, con documenti alterati, introdotto in Italia in sospensione di imposta e girato a società cartiere italiane con destinazione finale in altri paesi. Ad acquistarlo, in apparenza, erano due società registrate in Bulgaria e Romania, esistenti solo su carta. Di fatto i prodotti petroliferi venivano messi in commercio in Italia. Benzina e gasolio, caricati sulle autobotti, raggiungevano i depositi del gruppo criminale, a Roma, Genova e Vigevano, nel Pavese e infine Napoli, in una fortezza protetta da sensori, telecamere di sorveglianza e vedette.

Quindi esisteva un viaggio fisico del carburante, reale, che raggiungeva i depositi e veniva smistato verso i distributori delle strade italiane. E un viaggio invece documentale, molto più tortuoso, in cui il carburante veniva – soltanto su carta – ceduto a due società, una in Bulgaria e l’altra in Romania, gestite dall’organizzazione criminale. In un secondo momento, veniva fatturato a due società italiane che non versavano le imposte. Nell’inchiesta sono finite anche tre imprese che gestiscono distributori stradali, tutte consapevoli di beneficiare di un sistema truffaldino.

Nell’operazione, oltre alle misure cautelari, il giudice per le indagini preliminari ha ordinato il sequestro preventivo di beni per 5,2 milioni di euro.

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