Melissa Melpignano: danza, corpo e insegnamento, un viaggio straordinario

L’artista castiglionese racconta il suo nuovo percorso di vita negli Stati Uniti: "Oggi vivere all’estero è un ottimo modo per capire cosa significhi essere straniero"

CASTIGLIONE DELLE STIVIERE. Non è un paese per giovani verrebbe da pensare. Tuttavia, la storia della castiglionese Melissa Melpignano racconta anche d’altro che si può condensare in “Non è un paese per giovani che vogliono lavorare nel mondo dell’arte”. Sembra un paradosso se si pensa alla storia dell’Italia, ma questa è la realtà dei fatti.

Di certo c’è che per chi decide che la sua passione e la sua ragion di vita siano la danza, arte di stato nel secondo XIX, gli spazi sono pochi. Così Melissa Melpignano decide di emigrare dal Paese dell’arte e della cultura per antonomasia al Nuovo Mondo, terra arida nel sentire comune sul fronte della cultura. Non è così. La passione per la danza è difficile da descrivere nella sua genesi «mi è più facile dire perché sia per me una passione che continua. La danza è sempre un incontro, magari anche difficile da negoziare, col proprio corpo e col corpo degli altri. Della danza mi incuriosisce e interessa di più la coreografia, che uso per comprendere come sistemi e relazioni si formano, si sviluppano, e così via» afferma la Melpignano.



Negli Usa, dunque, Melissa trova terreno fertile e il connubio danza e insegnamento si realizza senza le difficoltà tipiche della realtà italiana ed europea. «Intanto qui è una dimensione possibile. Io insegno sia materie teoriche che pratiche, talvolta sovrapponendo i metodi, mentre continuo la mia ricerca su entrambi i piani. Le due attività si arricchiscono a vicenda. È possibile perché la gerarchia tra teoria e pratica è stata superata da un bel po’. Nell’università italiana, lo Iuav ha iniziato un esperimento del genere ma è una scuola già per sua natura laboratoriale». Vivere all’estero, dunque, per chi si è sempre mossa inseguendo quell’orizzonte che, scriveva Galeano, per sua natura si sposta di continuo, diventa in primis una condizione d’esistenza. «Vivere all’estero, anche se solo per qualche mese, è un bene di sicuro. All’inizio può non essere facile, come quasi tutti gli inizi d’altronde. Non credo sia una necessità, ma un ottimo modo, oggi, per capire cosa significhi essere straniero. In questo senso, dovrebbe essere un obbligo per chi ha il compito di governare. Poi, non so chi abbia inventato l’espressione “fuga dei cervelli” ma noi lavoratori all’estero non siamo fuggiti: siamo andati alla ricerca di un’apertura e tante volte siamo stati cercati. Questa è la quinta nazione in cui vivo, sono abituata ai cambiamenti di tipo pratico – dal cibo al sistema burocratico. In questo senso, bisogna avere capacità di adattamento e desiderio di farsi accogliere dal nuovo ambiente. Certo, rispetto all’Europa, dalla West coast la distanza con l’Italia si è dilatata enormemente. Comunque, anche se a Los Angeles devo sempre negoziare con una socialità molto diversa da quella italiana o europea, qui come altrove ho cercato e trovato buoni amici che posso considerare come famiglie d’elezione».

Il progetto della Melpignano, dunque, fonde insieme danza, corpo e insegnamento. «La mia ricerca teorica e quella coreografica si muovono parallele. In estrema sintesi, nella prima mostro come e perché la danza in Israele sia diventata un vero e proprio sistema epistemico, attraverso l’analisi di coreografie prodotte nei kibbutz, nell’esercito e per il palcoscenico teatrale. Questo ha comportato anche molti viaggi in Israele e in Palestina. In questo periodo, in sala prove sto lavorando con sei performer a una coreografia in cui cerchiamo di manifestare quando e come il conflitto emerge in un incontro tra corpi, e sperimentiamo vari modi per sciogliere il conflitto e dare nuova energia alla conversazione. Debuttiamo a Los Angeles il 12 marzo».

Il mondo universitario americano, spiega la Melpignano, implica regole «chiare, non solo c’è un sistema meritocratico ma anche una cultura dell’accountability, per cui bisogna dare conto delle proprie azioni. Se hai un progetto forte e un piano chiaro, si ottengono fondi di ricerca. Nel sistema americano esiste il precariato ma non esistono assistenti non pagati. Si sperimenta molto anche in termini di pedagogia: la lezione frontale, con tutte le dinamiche di potere che implica, non funziona più. Io sono per la sperimentazione e condivisione di metodi, e posso farlo solo con la partecipazione attiva degli studenti. I contro sono legati alla mia adesione a uno stato di tipo assistenziale: fatico ad accettare che per una laurea di primo livello uno studente e la famiglia debbano sborsare 40mila dollari all’anno o indebitarsi per decenni. Quantomeno gli studenti affrontano l’università come un vero e proprio investimento per la vita. I problemi di tipo politico sono ai vertici delle amministrazioni universitarie: mentre gli studiosi si occupano di giustizia sociale (specialmente ora con l’attuale presidente), i piani alti rilasciano slogan politically correct ma non usano la loro forza politica ed economica per ovviare a politiche federali aggressive, ad esempio nei confronti dei migranti».

LA SCHEDA. Melissa Melpignano è nata nel 1984 a Castiglione. Dopo il liceo Gonzaga, nel 2002 prosegue gli studi da borsista alla London Contemporary Dance School e al Conservatoire de Musique et Danse di Lione. Nel Regno Unito lavora con coreografi come Wayne McGregor e Hofesh Shechter. Torna in Italia, a Venezia, per sviluppare l’interesse in teoria della performance, laureandosi con lode a Ca’ Foscari e continuando a danzare alla Biennale. Continua il percorso artistico in Svizzera. Nel 2013 si trasferisce negli Stati Uniti per il dottorato a Ucla, con una ricerca sulla danza in Israele. A Los Angeles insegna, scrive e danza.

LA FORMAZIONE. Nel percorso di formazione di Melissa Melpignano la danza si incontra con la teoria del teatro e con la filosofia. «La danza per me è sempre una felice occasione per incontri speciali» afferma la docente castiglionese che vive e lavora negli Stati Uniti. Fra gli incontri più importati quello con il filosofo Giorgio Agamben, fra i più importanti pensatori viventi e uno dei pochi filosofi italiani riconosciuti e studiati all’estero. «Quando entravo in aula per i suoi seminari veneziani, Giorgio Agamben m’accoglieva dicendo, col suo tono elegante ma anche ironico, “ecco la ninfa!”, citando un suo libro. Con lui poi - continua ancora la docente di Castiglione delle Stiviere - ho lavorato sulla concezione coreografica del Lorenzaccio di Carmelo Bene. Agamben ha un rapporto molto speciale con la danza, ma forse questo è tema per un’altra conversazione». Il legame intellettuale con il pensiero di Agamben, dunque, è al centro delle ricerche che la Melpignano conduce in America e in Israele.

Luca Cremonesi

Suggerimenti