Tra popoli migranti cinema e storie di vita

Dal regista di “Ladro di bambini” tante riflessioni oltre la vicenda di adozione trattata nel nuovo libro

«Il titolo Padre quotidiano nasce dal fatto che ogni padre vorrebbe poter tenere sempre sotto la sua ala il figlio, anche se questo non è per niente giusto. Ma soprattutto è l'impulso che ho provato quando questo padre albanese, Ethem, mi pregò in tutti i modi di adottare suo figlio mentre giravo Lamerica nel 1993. Cosa che poi ho fatto».

Così Gianni Amelio parla di “Padre quotidiano” al Festival di Cortinametraggio dove ha tenuto un work shop e presentato poi questo suo libro edito da Mondadori.

Ma dal regista di “Ladro di bambini” tante riflessioni, oltre ovviamente la vicenda di adozione trattata nel libro.

Parla di migrazione, di politica e soprattutto dei ragazzi viziati di oggi: «I migranti - dice - sono un popolo che ha fame e questa è una spinta enorme. Noi invece abbiamo figli viziati dal benessere che andrebbero messi in linea. Ragazzi che discutono solo del nuovo telefonino, della nuova marca di tablet. Spero così che l'arrivo di qualcuno che ha bisogni concreti, reali, possa dare loro un insegnamento. Oggi purtroppo prevale in politica la logica del respingimento e questo è sbagliato».

«Nel 1993 - ci tiene a dire il regista - non ho adottato solo il ragazzo ma l'intera famiglia. Non lo volevo privare dei suoi genitori naturali. Così, come racconto nel libro, ho portato in Italia dal nord dell'Albania tutti e tre: padre, madre e figlio. Ora quando ci sediamo a tavola siamo in tanti e io non ero abituato a questo. Qualcuno all'epoca - aggiunge - mi metteva in guardia, mi diceva forse non sei la persona giusta, non sai cosa vuol dire la responsabilità di avere un figlio, una famiglia, ma io sono andato diritto per la mia strada e mi sono detto: no la famiglia ci vuole. La situazione è poi cambiata velocemente, mio figlio, dopo tre mesi che era in Italia, ha incontrato una ragazza polacca e sono ormai ventiquattro anni che stanno insieme. Hanno ora tre figli e così oggi mi ritrovo in una famiglia numerosa».

La storia di quell'adozione va raccontata e ricordata perché, spiega Amelio: «È stato come mettere un punto su venticinque anni della mia vita. Tutti anni positivi e che mi hanno dato la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta».

Nessuna intenzione da parte sua di rendere questo libro film: «Questo l'ho già fatto con Lamerica», ma invece accetta volentieri l'idea che qualche altro regista possa farlo: «Ben venga un regista che porti “Padre quotidiano” sul grande schermo anche stravolgendo il mio libro come ho fatto io per quello da cui è tratta “La tenerezza”». Registi che amerebbe vedere nell'impresa? «Daniele Vicari o Francesco Munzi. Anzi, credo, che Francesco sarebbe perfetto».

In questo volume Gianni Amelio racconta appunto il rapporto con il ragazzo albanese che ha conosciuto durante le riprese del film «Lamerica», e adottato più di vent'anni fa.

«Sospeso fra due paesi, due caratteri, due culture, “Padre quotidiano” - come evidenzia la presentazione del libro - rievoca gli anni inquieti in cui si aprì la stagione delle migrazioni via mare, che continua a riversare sulle coste italiane il suo carico di dolore e di morte. Ma il ricordo viene qui addolcito, quasi purificato, dalla nascita di un legame affettivo che sfida i pregiudizi e s'impone con la forza necessaria per arginare l'indifferenza comune. Una vicenda personale diventa simbolica, scava a fondo nel privato, anche con durezza, fino a raggiungere un'emozione che ci coinvolge tutti».

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