Gazzetta di Modena

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I green days di Mirco Pedretti: "Crescere stando insieme Il progetto di una vita"

di Serena Arbizzi
I green days di Mirco Pedretti: "Crescere stando insieme Il progetto di una vita"

Dai campetti della parrocchia fino ai circoli Arci come dirigente storico Le biglie, le giostrine, il cinema. E il terzo settore: una rete di ricchezza 

24 novembre 2017
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CARPI. Giornate spensierate trascorse a giocare al parco, a pesca, o al cinema, prima che al circolo Cabassi, dov’è emerso appieno lo spirito di socialità che lo ha portato a diventare dirigente storico e vicepresidente dell’Arci provinciale, con incarichi anche a livello nazionale. Mirco Pedretti, il quale è anche consigliere della Fondazione Crc e Casa del volontariato, ha il senso di aggregazione nel Dna e ne ha fatto un modello “made in Carpi” che ha esportato in tutta Italia.

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“Sono nato al Ramazzini: il mio papà, Anselmo Pedretti, era di Modena e faceva l’operaio, mia mamma, Lucia Ronchetti, faceva la commessa in un negozio storico della famosa via “della catena”, ovvero via Paolo Guaitoli, in pieno centro: le Sorelle Casarini, divenute poi boutique Gianni – ricorda Mirco Pedretti – Mio padre e mia madre si sono conosciuti sulla riviera romagnola. Una tradizione che ho mantenuto anche io con mia moglie, ligure, incontrata per la prima volta in Romagna. Pensando a quand’ero piccolo mi viene subito in mente la mia casa, in via Galilei, zona Cremeria, e le giornate spensierate trascorse a giocare al parco delle Rimembranze. Il mio passatempo preferito erano le biglie di vetro, insieme alle giostrine. Ricordo i giri in triciclo da casa mia fino all’asilo in via Nicolò Biondo. E mi ritorna in mente una Carpi in cui si lasciavano addirittura le porte aperte o con le chiavi infilate nella serratura.

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C’era una rete parentale molto forte, con le donne che ricoprivano un ruolo primario. All’età di 7 anni, abbiamo traslocato in un palazzo che si trovava sempre vicino alla zona dell’ospedale”. Mirco ha frequentato le elementari alle allora nuovissime Carlo Collodi e poi le medie alle leggendarie Ungaretti di via Andrea Costa, dove ha sede ora la residenza per anziani Primarosa. Già dai tempi della scuola era vivo il forte sentimento di socialità e aggregazione che ha portato Pedretti a diventare uno dei pilastri dell’Arci a livello nazionale. “Sono sempre stato promosso con soddisfazione - continua il dirigente – Il mio tempo era sempre suddiviso tra l’impegno negli studi e gli amici. Si giocava a pallone nel campetto della parrocchia di San Giuseppe Artigiano, vicino a casa. Ma giocavamo spesso anche per strada, allora non c’erano tutte le automobili di oggi in giro. Poi, il catechismo, la cresima e la comunione sempre alla parrocchia di San Giuseppe, dove in due occasioni, tra l’altro, ho fatto il chierichetto. E il ping pong, il biliardo, le boccette all’oratorio dell’Eden. Siamo cresciuti senza i telefonini e ricordo bene la compagnia di cui facevo parte: eravamo la compagnia Gambrinus. Ci si ritrovava in quello che oggi è il bar Manzoni, sempre nei paraggi di casa. Ma la mia memoria è ricca anche delle giornate trascorse a cimentarmi nel basket, con “La Patria” o dei momenti passati a pescare nella Lama, ma anche in altri fiumi. O la passione per il cinema, sbocciata in me tra i 10 e 12 anni e coltivata con il mio papà, inizialmente: dai western a generi più raffinati e introspettivi. Ho visto Carpi crescere con me, rimanendo, anche oggi, una bella città con una qualità della vita molto alta. Una città che mi ha offerto tante possibilità. Penso, ad esempio, alla rete del terzo settore”. Durante l’adolescenza di Mirco è scoccata la scintilla dell’amore per l’Arci. “Il Cabassi di via Don Davide Albertario ha accettato che io e un gruppo di amici ci occupassimo di attività per i giovani – conclude Mirco – Dopo pochissimo, ancora minorenne, sono diventato segretario del circolo fino a ricoprire, nel 2000, il ruolo di dirigente. Ancora oggi sento vivo in me il desiderio di divulgare ai giovani il desiderio di socialità: oggi gli adolescenti sono connessi, ma sono anche molto soli. La sfida è quella di coinvolgerli in piccoli grandi progetti perché possano provare l’affascinante sensazione di provare a realizzarli, a costruirli, sperimentando in prima persona”.