Gazzetta di Modena

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Il delitto di piazza Dante, Perini: «I gay? Rifiutati dai tradizionalisti cinesi»

di Carlo Gregori
Il delitto di piazza Dante, Perini: «I gay? Rifiutati dai tradizionalisti cinesi»

La sinologa modenese che insegna a Pechino: «L’avversione è ancora radicata nelle campagne: si teme l’estinzione della famiglia. A Prato, tanti vengono da lì»

29 novembre 2017
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MODENA. «Non so nulla del delitto a Modena e quindi non posso dare una valutazione ma posso dire quello che ho visto in Cina sui gay e su come sono considerati. E in Cina oggi ci sono molte opinioni differenti: dipende dalla stratificazione sociale alla quale ci si riferisce». Gaia Perini, modenese da anni residente a Pechino, dove è ricercatrice alla prestigiosa Tsinghua University, è una sinologa e anche una attenta studiosa della società cinese. Dice di non avere notizie di prima mano o dati sulla realtà omosessuale in Cina ma racconta fatti ugualmente interessanti per capire meglio il delitto di piazza Dante.

«Innanzitutto bisogna considerare che l’omosessualità non è più un reato o una grave malattia mentale per lo Stato cinese - spiega - oggi stanno cambiando molte cose e quindi bisogna distinguere».

Nel caso di Modena un 17enne che si sentiva umiliato dall’essere considerato gay, ha organizzato un raid con amici contro l’amico gay, finendo per ucciderlo.

«In Cina non sentiamo mai di omicidi di omosessuali. Questo disprezzo verso l’omosessualità esiste, però, e ha radici profonde e antiche. In Cina bisogna tener conto della differenza tra chi abita in città, soprattutto in quelle costiere, e chi nella campagna più profonda o in città di provincia».

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Che differenza c’è?

«Grande. In città c’è apertura al mondo esterno e quindi c’è più accettazione per i gay. Ci sono anche associazioni simili all’Arcigay. In campagna no. E questi ragazzi di Prato sono in genere figli di ex contadini emigrati in Italia. Gli immigrati cinesi in Italia vengono quasi sempre da zone rurali o città come Hangzhou».

Come si comportano in campagna?

«Hanno un atteggiamento tradizionale di ostilità verso gli omosessuali. Si pratica l’antico confucianesimo che non è una vera religione ma si appoggia sul culto degli antenati. Se non fai un figlio - è la mentalità - il tuo cognome rischia di scomparire. Per un cinese tradizionalista è gravissimo. Per lui è fondamentale non estinguersi con la famiglia. Per questo l’omosessualità è vista in modo così rigidamente negativo».

La legge cinese non considera più l’omosessualità una malattia.

«Da qualche anno non è più così. Però, proprio per quello che dicevo sule zone più arretrate e tradizionaliste, può capitare che in un centro di campagna si pratichi ancora il trattamento manicomiale e l’elettrochoc su un gay. In città invece non succede più».

In questo caso parliamo di cinesi di seconda generazione in Italia e minorenni.

«Questo aspetto dei minorenni mi colpisce. In Cina lo spartiacque della vita di un maschio è più avanti, sui 25-30 anni. È l’età in cui l’uomo prende moglie e fa figli e quindi assolve al compito di portare avanti il nome di famiglia, come dicevo. Tra gli adolescenti non è così. C’è più tolleranza. Il problema arriva quando si è in età di matrimonio. È in questa fase che alcuni si sposano anche se gay oppure ci sono suicidi. Per questo mi sembra strano che degli adolescenti si comportino così rigidamente».

Conferma Gabriele Battaglia, giornalista anche lui residente a Pechino e libero professionista: «L'omosessualità era illegale fino al 1997 e considerata una malattia mentale fino al 2001, ma da allora si sono fatti passi da gigante. Certo, c'è ancora la famiglia che vuole “correggere” il figlio e magari lo manda a fare l'elettroshock ma è rarissimo».

Alla luce di questa analisi, diventa forse più chiaro come la paura di essere oggetto di “outing” non richiesto possa aver scatenato il gruppo di amici in un raid punitivo.