Gazzetta di Reggio

Reggio

«Così la cosca si è riorganizzata dopo le inchieste antimafia»

di Jacopo Della Porta
«Così la cosca si è riorganizzata dopo le inchieste antimafia»

Processo Aemilia, il pentito Valerio parla delle strategie per sfuggire alle attenzioni degli inquirenti «Dopo Edilpiovra avevamo più autonomia: anche adesso stanno prendendo delle contromisure»

01 novembre 2017
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REGGIO EMILIA. «Dopo Edilpiovra non si poteva più avere una struttura percepibile dagli inquirenti e bisognava fare una struttura orizzontale». Il pentito Antonio Valerio, rispondendo alle domande degli avvocati difensori al processo Aemilia, ha parlato dei cambiamenti e degli equilibri interni alla cosca reggiana della ’ndrangheta e ha delineato la strategia adottata dagli associati per mimetizzarsi dopo le indagini dei primi anni 2000 ( Scacco Matto, Edilpiovra e Grande Drago).

Valerio sostiene di essere stato un affiliato con un ampio margine di autonomia. «Era una linea orizzontale dove c’erano dei pallini: i pallini era l’autonomia di ognuno di noi». I vari gruppi portavano avanti i loro affari, ma al tempo stesso collaboravano tra loro. Talvolta perché tra i sodali ci sono dei «debiti criminali» che vanno scontati.

Secondo il collaboratore la locale di ’ndrangheta di Reggio Emilia era gestita dai Sarcone con base a Ghiardo di Bibbiano. A Diletto invece spettava la Bassa e Parma. Poi c’era lui, che godeva di «uno statuto speciale», forte del fatto di essere stato «uno dei tre ad essere coinvolto nei fatti di sangue del Reggiano negli anni ’90».

Dopo le indagini dei primi anni 2000 i Sarcone non sarebbero stati nelle condizioni di gestire un’associazione verticistica, perché «avevano le attenzioni delle forze dell’ordine». Pertanto l’associazione «non poteva avere la stessa struttura di prima» e non era possibile fare riunioni a Bibbiano. Da qui, dice, l’esigenza di avere un profilo differente per non finire nel radar degli investigatori.

Per Valerio questi cambiamenti sono fisiologici dopo ogni inchiesta e sarebbero tutt’ora in atto. «Oggi c’è l’associazione chiamata Aemilia, ma un domani ce ne sarà una denominata Mediopadana. Ci sono già le contromisure».

Nel controesame i legali hanno fatto molte domande sul funzionamento della presunta locale di ’ndrangheta e sui rapporti «fluidi» tra Reggio e la casa madre di Cutro. Incalzato dai difensori, che chiedevano lumi sul funzionamento della locale, Valerio ha ironizzato: «Devo fare un disegnino?». Ma il presidente della corte Francesco Caruso ha colto la palla al balzo e ha detto al pentito di sentirsi libero di farlo. Al ritorno da una pausa il presidente è tornato sull’argomento e ha sollecitato il cutrese a realizzare uno schema sui ruoli dei vari gruppi.

Antonio Valerio in più passaggi ha sottolineato le differenze tra i comportamenti degli affiliati in Calabria e in Emilia. Sempre a proposito della necessità di mimetizzarsi, il collaboratore ha detto che «qua non puoi fare l’ndranghetista puro come in Calabria». A Reggio «devi fare almeno una dichiarazione dei redditi. Se non lo fai non puoi andare in giro con il Porsche Carrera» . E così anche lui, come gli altri, aveva la sua ditta di ponteggi, la sua immobiliare e si occupava di attività legali, oltre all’usura, le truffe, le estorsioni e l’usura.

Al momento dell’arresto Valerio ha detto che aveva «dieci appartamenti, un piazzale di 500 metri quadrati pieno di ponteggi vicino a Cella e una gru». Poi, sollecitato a spiegare quale fossero le sue disponibilità liquide, ha parlato prima di 20mila euro, e poi di circa 50mila, sparsi sui conti correnti di vari parenti. Disponibilità congrue per un uomo che ha ricoperto ruoli apicali nella ’ndrangheta? Forse il senso delle domande, lo si capirà nelle arringhe difensive, era proprio quella di evidenziare questo aspetto.