Gazzetta di Reggio

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«Donne, unitevi e fate i miracoli»

di Martina Riccò
«Donne, unitevi e fate i miracoli»

Così Loretta Giaroni, storica coordinatrice dell’Udi Reggio: «Noi siamo riuscite ad aprire gli asili: ogni scuola una lotta»

08 marzo 2018
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REGGIO EMILIA. «Da assessore ho aperto 20 scuole dell’infanzia e 8 nidi, avevo dietro, davanti, di fianco a me tutte le donne dell’Udi, l’Unione donne d’Italia. Eravamo una forza. Bacchettavamo i compagni del Pci, abbiamo fatto battaglie da cui sono nate leggi nazionali. Unite potevamo fare tutto, e lo abbiamo fatto. Alle ragazze di oggi dico: incontratevi, parlatevi, state unite. Da sole non si vince nessuna battaglia».

Le parole di Loretta Giaroni

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Ha i capelli grigi e 89 anni («già compiuti» precisa subito, come per mettere le cose in chiaro) ma gli occhi sono quelli di una ragazzina, due “cavalli bizzarri” che galoppano ancora ostinatamente, e sempre continueranno a farlo, nella direzione giusta, quella dei diritti, quella della verità. Loretta Giaroni – coordinatrice provinciale dell’Unione donne d’Italia dal ’57 al ’67 e assessore alle Scuole e ai Servizi Sociali dal 1965 al 1975 – ci accoglie nella sua casa alla Canalina: piccola e ordinata, con tanti libri e ogni centimetro delle pareti occupato da fotografie. La più importante è quella che la ritrae al fianco di Nilde Iotti: «Eravamo in Val d’Orcia, vede i cipressi?». Sopra la cornice una rosellina rossa, ché non c’è bisogno di grandi gesti per tenere vivo il ricordo di un’amicizia vera, fatta di lotte e sogni comuni.

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«Che non sono ancora finiti, sa?», assicura portandoci nella cameretta. Al centro della stanza («il mio regno», sorride) c’è una piccola scrivania che prende la luce da una finestra, poco più in là, attaccato all’anta dell’armadio, un adesivo recita “Non preoccuparti di essere un uomo di successo, pensa ad essere un uomo di valore”. «Ecco quello per cui sto lottando ora», dice allungandoci un libro intitolato “Paura non abbiamo… una fotostoria dell’Udi di Reggio Emilia”.

Di che si tratta?

«Vede, siccome l’Udi è stata l’associazione che ha dato di più non solo alle donne ma alla città e al Paese, ho pensato di realizzare una fotostoria dal 1945 al 1982. Tra le battaglie più importanti portate avanti dall’Udi di Reggio, uno dei gruppi più forti in Italia, c’è quella per i servizi all’infanzia. Quando si parla di femminismo e di lotte per i diritti non si può fare letteratura, bisogna partire dalla storia. E a me dispiace che le giovani donne reggiane non conoscano l’Udi e a volte persino (qui gli occhi si inumidiscono, ndr) Nilde Iotti».

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L’8 marzo potrebbe essere un’occasione per recuperare?

«Senza dubbio ma, vede, ormai noi siamo rimaste in poche e ci chiamano raramente a testimoniare quanto fatto dall’Udi. Anzi il più delle volte la storia viene cancellata o addirittura cambiata. La volontà di raccontare da parte nostra c’è, ma… Sicuramente l’8 marzo potrebbe essere un’occasione per le giovani di donne di incontrarsi, confrontarsi. Se noi siamo riuscite a cambiare il Paese è perché abbiamo discusso dei nostri problemi e abbiamo cercato insieme una soluzione. Ragazze dovete organizzarvi, non chiudetevi in voi stesse. Per poter essere risolti, i problemi vanno socializzati».

Dopo un passato di lotte, che effetto le fa il presente?

«Non me lo faccia dire. Noi avevamo i nostri problemi, le nostre battaglie, erano anni duri. Ma adesso ci sono le scarpette rosse… e poi forse la faticosa divisione della donna tra lavoro e famiglia è ancora attuale, no? Se posso dire non mi perderei dietro a problemi linguistici… quando chiesero a Nilde Iotti come chiamarla, visto che c’era sempre stato “il” presidente della Camera, lei rispose: mi chiami come vuole. Non c’è bisogno di aggiungere altro, no?».

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Lei come festeggia l’8 marzo?

«Ma cosa vuole che faccia, alla mia età… telefono alle amiche, ci scambiamo gli auguri e le mimose».

C’è chi dice che festeggiare la festa della donna non ha senso, che la donna dovrebbe essere festeggiata tutti i giorni dell’anno…

«Certo, che discorsi. Ma l’8 marzo è una data importante, bisogna festeggiarla. Forse chi dice così non conosce l’origine della festa, non sa che battaglie sono state fatte. Stessa cosa per la mimosa. Sa perché è diventata il simbolo delle donne? Perché cresceva spontaneamente, si trovava nei campi e nei giardini, era gratis. Se a una piacciono le rose si faccia regalare le rose, ma non mettiamo in contrapposizione i simboli, non cancelliamo la mimosa».

Si torna all’importanza della storia…

«È inevitabile. Ma lo stesso marzo, sa, è un mese importante per le donne?».

Perché?

«Nel marzo del 1971 l’Udi di Reggio Emilia stampò e diffuse oltre 40.000 cartoline su cui era scritto “Vogliamo subito la legge sugli asili nido”. Sul retro avevamo scritto un messaggio al presidente della Camera, Sandro Pertini, chiedendogli che la legge sugli asili nido venisse discussa e approvata dalla Camera; e che la Camera stessa si pronunciasse per l’immediato scioglimento dell’Onmi e per il trasferimento alle amministrazioni comunali di tutti i servizi e le funzioni attribuite a quell’ente. Sa cosa successe? Pertini si adoperò per la causa e in dicembre fu votata la legge. Qualche giorno dopo nella sede dell’Opera Nazionale della madre e del fanciullo, in via Guasco, aprimmo il nido Genoeffa Cocconi, nido aziendale e territoriale. Quello che poi è stato trasferito ed è diventato l’asilo Gianni Rodari».

Come mai è importante ricordare la battaglia dell’Udi Reggio per i servizi dell’infanzia?

«Le donne avevano lavorato durante la guerra e negli anni ’50 volevano continuare a farlo ma senza rinunciare alla famiglia. L’unica soluzione era aprire gli asili. Ma è stata una lotta… Ogni scuola che abbiamo aperto, prima quelle dell’infanzia, poi i nidi, è stata una conquista delle donne. E di tutto questo non si sa niente. Non si parla nemmeno mai di Renzo Bonazzi, il sindaco delle scuole. Ogni istituto dovrebbe avere la sua carta d’identità, solo così la storia potrebbe essere tramandata. Si figuri che il Rodari lo fanno nascere nel 2002».

Siamo rimasti abbagliati dal mito di Malaguzzi?

«Io Malaguzzi lo rispetto e l’ho sempre apprezzato, ma fino a un certo punto, non più del dovuto. Quando nel 1963 abbiamo aperto la prima scuola dell’infanzia in via Bainsizza, in un prefabbricato, grazie a una trovata di Franco Boiardi, lui disse che era un pollaio. Era un personaggio, sa... Pensi che nel 1965, io ero assessore da poco, ci incontrammo e gli dissi: “Loris, siamo in ritardo sugli asili. Per accelerare i tempi abbiamo pensato di usare le strutture che ci sono già, riadattarle andare anche in affitto”. Mi rispose: “Sono stato a un convegno a Firenze, ho raccontato la nostra esperienza e mi hanno detto che con due sole scuole è normale tenerle come fossero gioielli”. Non mi aveva detto sì, ma era il suo modo per non dire no. “Loris, allora nueter partom”».

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