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Comunisti, fascisti e tante scuse

Stefano Scansani
Comunisti, fascisti e tante scuse

L'editoriale della domenica del direttore della Gazzetta di Reggio, Stefano Scansani, sulle reazioni alla proposta di una riconciliazione definitiva avanzata da don Morlini

22 aprile 2018
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REGGIO EMILIA. La terra di Reggio è uno dei luoghi d’Italia a più lunga conservazione delle idealità della Resistenza e del dopoguerra. Non c’è bisogno di ricorrere alla catena della storia per ammettere che è vero. Basta rammentare tre cose e l’idealità è ricomposta: qui nacque Bella Ciao!

Qui ogni tanto muore un partigiano e ciò significa che essi furono ad alta densità demografica. Qui tutti giurano che fra il 25 aprile e il primo maggio 2018 cortei, bandiere, musica e griglie sfileranno inossidabili, nonostante gli anni trascorsi, la memoria biologicamente ormai indiretta e le pacche elettorali.

Ha un senso che nella terra di Reggio Eugenio Morlini sulla Gazzetta di venerdì scorso abbia avviato un tentativo di soluzione. Che lui, prete, abbia indicato nel 25 aprile 2020 un’opportunità di perdono reciproco. Non quello dell’assoluzione sacramentale con la formula ego te absolvo.

Ma quello umano, fra le parti. Fra gli allora due fronti. Per stringere: fra partigiani troppo assimilati ai comunisti, e i fascisti. Categorie ancora vivissime nella scansione dei nostri pensieri, nel dualismo del nostro Paese. È un perdurare incredibile ma vero al di qua della soglia del secolo XXI. L’iniziativa di don Morlini ha preso le mosse dall’incontro, dall’abbraccio avvenuto domenica scorsa nella pieve di San Valentino di Castellarano fra la nipote del beato Rolando Rivi e la figlia di uno dei suoi uccisori, il partigiano Giuseppe Corghi.

È stato un evento voluto dal vescovo Massimo Camisasca che già l’anno scorso aveva visitato Casa Cervi (primo capo della diocesi reggiana in quel sacrario).

Le congiunture dei fatti hanno poi registrato la morte di Otello Montanari, il partigiano del “chi sa parli” circa le tante morti dei misteri che hanno dilaniato Reggio.

La Gazzetta venerdì ha proposto due opinioni sull’appello del prete alla riconciliazione definitiva. Quella espressa da sinistra con Massimo Storchi, direttore del polo archivistico del Comune di Reggio, che ha affermato: “La riconciliazione è un fatto privato. Gli storici procedono sul piano dello studio e della ricerca, mentre a livello politico il discorso sarebbe già stato chiuso settant’anni fa”.

E quella spiegata da destra, da Luca Tadolini, fondatore del Centro Studi Italia: “L’Anpi non vuole riappacificazioni. Siamo favorevoli al confronto e spesso abbiamo accolto nei nostri convegni studiosi di quella parte politica. Loro, però, non hanno mai ricambiato”.

Lo stesso Tadolini ha invitato il vescovo, don Morlini, il sindaco e l’Anpi a pregare sulle croci che ricordano le vittime fasciste. Come una saracinesca la replica della presidente dell’Istituto Cervi Albertina Soliani: “Il perdono? È già avvenuto settant’anni fa”.

Quella di don Morlini resterà un’aspirazione. Perché tutto gioca in suo sfavore. E con questo “tutto” – assecondando l’immersione conflittuale italiana – mi riferisco non tanto alla divaricazione fra le due memorie, ma alla politica contemporanea: nel suo strumentario tiene il comunismo e il fascismo come pezzi forti, pronti all’uso contundente.

Facile. Così evocativo che anche nello scrivere queste righe devo prestare attenzione ai calibri delle parole e alla chiarezza del ragionamento.

Innanzi tutto perché i due attrezzi non si equivalgono, non sono estremità coincidenti.
In una tragedia nazionale – che deve essere irripetibile – i comunisti (non il comunismo) hanno contribuito a sgombrare il fascismo fatto Stato. Punto. E vengo all’oggi, alla questione di don Morlini, alla riconciliazione.

Impossibile, perché il dualismo oltre che essere durevole per nostalgie e ideologie, è anche utilizzato dal modernariato della politica. Ad esempio Silvio Berlusconi quando è in difficoltà intona dal 1992 il grido di guerra “comunisti!”, ed ora che ha a che fare con i Cinquestelle – che comunisti proprio non sono – li indica come succedanei del comunismo... pur restando convinto, Silvio, d’essere il motore di una coalizione a pezzi, che è amica di Putin (succedaneo della cultura e del potere sovietico).

Da quell’altra parte i compagni (sul versante sinistro del renzismo imbolsito). Che hanno come antagonisti i fascisti in riaffioramento. Il riapparire delle crape pelate, dei saluti romani, degli “allora si stava meglio” con una saldatura generale e disordinata fra souvenir del ventennio, voglie di ronde, ruspe, calci in culo e qualche rischiosa reinterpretazione della storia.

Sino a quando fascismo e comunismo centenari resteranno appunto i primi capi d’accusa nell’armamentario delle parti, non ci libereremo di questi concetti-zavorra. E sino a quando la storia oltre che essere insegnata (ma sino ad oggi, coraggio) non verrà praticata, le due parole resteranno fonosimboliche.
Rumori, suoni, scricchiolii pericolosi, parole d’ordine, schiocchi.

Pacificazione? Ma cosa volete cambi in un’Italia che ancora deve digerire la ripartizione fra guelfi e ghibellini. Novecento anni fa. Di “perdoni” plateali e traditi, qualcosa a Reggio ne sappiamo. Canossa, novecentoquarantuno anni fa.

s.scansani@gazzettadireggio.it
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