Gazzetta di Reggio

Reggio

«Dai pentiti riscontri formidabili alle accuse»

di Tiziano Soresina
«Dai pentiti riscontri formidabili alle accuse»

Partita la requisitoria, il pm Mescolini ricostruisce l’attività della cosca Duro sugli imprenditori emiliani: «Erano loro a cercare la ’ndrangheta»

16 maggio 2018
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REGGIO EMILIA. Discorsi in punta di diritto, ma anche l’ascolto mirato di intercettazioni per avvalorare alcune tesi accusatorie. Le prime ore di requisitoria del pm Marco Mescolini “dipingono” pian piano un “affresco” di quella che è stata la ciclopica inchiesta antimafia Aemilia. «Il fatto che, dopo due anni e mezzo di udienze, il processo contro la ’ndrangheta al Nord si avvii alla conclusione – parte così la requisitoria e parlerà sempre a braccio – evidenzia una capacità di risposta della giustizia emiliano-romagnola che probabilmente nessuno poteva immaginare». Sottolinea il tempo «ragionevole» in cui si è svolto il maxiprocesso con centinaia di imputati e migliaia di documenti, poi definisce «encomiabile» la direzione del procedimento (la Corte è presieduta da Francesco Caruso, a latere i colleghi Cristina Beretti ed Andrea Rat) con un’ultima premessa: «In queste tante udienze credo che il mio ufficio sia stato il motore dei nove decimi degli elementi che sono stati portati davanti al collegio, perché le indagini non sono mai cessate».

I PENTITI. E arriva subito la valutazione sulla “svolta” ulteriore data dai pentiti che «hanno fornito riscontri formidabili a quanto da noi sostenuto». Entra, quindi, nel merito: «Già solo le dichiarazioni rese dai tre collaboratori di giustizia Antonio Valerio, Salvatore Muto e Giuseppe Giglio sarebbero sufficienti a fondare la condanna per i 148 imputati. Questi tre collaboratori hanno fatto chiamate in correità dicendo “sono appartenenti come me alla ’ndrangheta”, ma non si sono limitati a guardare un album fotografico per dire “è uno dei nostri o non lo è”, perché di ciascuno di loro ci danno anche dei riscontri individualizzati, descrivendo le condotte con cui gli imputati si sono messi a disposizione della cosca. Pertanto ritengo che solo questo dato, l’idea che noi abbiamo provato la credibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia, dal punto di vista processuale faccia pendere la bilancia nel senso della impossibilità di giungere a conclusioni diverse da quelle che renderemo».

L’IMPRENDITORIA. A questo punto c’è un duro passaggio: «Se in Emilia la ’ndrangheta è riuscita a fare quasi sempre quello che voleva è perché qualcuno ne ha notato la convenienza. Perché la frode fiscale o la falsa fattura fatta dalla ’ndrangheta è più sicura di quella fatta da altri. Non c’è minaccia, è conveniente. In questo processo voi non troverete in nessuno degli atti che uno degli accusati di far parte della ’ndrangheta abbia fatto il primo passo verso gli imprenditori. Non è mai stato così e lo dimostreremo per tutti quei reati di cui gli imprenditori sono poi diventate vittime. Mirco Salsi e altri diventano degli epigoni perché inizialmente, vista la convenienza, si rivolgono alla ’ndrangheta per avere quello che altrimenti non avrebbero potuto avere e vivono una luna di miele che però finisce, perché le cosche non si accontentano di avere dei soci». E il pm cita pure il caso di un industriale veronese accompagnato a Cutro da Nicolino Grande Aracri per un affare legato alla costruzione di pale eoliche: «Incredibile l’appeal che costoro (gli ’ndranghetisti, ndr) generano in chi ha costruito imperi economici».

MARKETING MAFIOSO. Nell’ambiente ndranghetistico contano solo gli affari e, come specifica Mescolini, persino la condanna di un esponente di spicco poteva contribuire a creare nuove opportunità di profitto. Tira in ballo il volto tv reggiano Marco Gibertini (condannato nell’Appello di Aemilia a 9 anni e 4 mesi di reclusione): «La condanna in Edilpiovra di Nicolino Sarcone, invece di essere un fatto foriero di cattive conseguenze, fa al contrario partire Gibertini con una campagna pubblicitaria che propone i servigi di costui che era indicato come il capo della ’ndrangheta. Gibertini proponeva a chi la protezione con i kalashnikov, a chi il recupero-crediti».

CAMPARE DI REATI. Reimpiego di soldi derivati da affari illegali, frodi fiscali, intestazioni fittizie, estorsioni, usura: sono gli altri reati presenti nella complessa struttura accusatoria di Aemilia. «Reati che possono apparire minori e in effetti lo sono dal punto di vista penale, ma ci descrivono l’attività della cosca. Nei verbali troverete un traffico di casse da morto dalla Romania, le gomme, il gasolio: non si butta via niente perché c’è opportunità».

Del resto, rimarca «l’interesse principale dei nostri imputati è di commettere reati, di campare del denaro prodotto da quei reati e di utilizzarlo per commetterne altri, in un gruppo che ha al suo interno regole assolute».

L’OMERTÀ. E per Mescolini c’è anche un elemento soggettivo tale da confermare l’esistenza dell’associazione mafiosa ed «è l’intimidazione che crea assoggettamento e omertà e determina in chi la subisce non solo paura, ma anche incapacità e non volontà di manifestare questa paura all’esterno. E l’omertà è per noi elemento di prova dell’associazione di stampo mafioso». Viene ricordato come nell’aula-bunker siano sfilati «testimoni subornati, minacciati e reticenti» e come esempio eloquente viene citato quello del reggiano 40enne Luigi Caccia che nega in udienza l’estorsione subita da Roberto Turrà a fronte di un’intercettazione molto eloquente per il tono violento («Bastardo, cornuto, pagliaccio di merda, t’ammazzo») con cui Caccia stesso era stato messo sotto pressione.