Gazzetta di Reggio

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Lo sfogo di don Cugini contro l’omofobia: «Sono stanco dell’ipocrisia della Chiesa»

Don Paolo Cugini
Lo sfogo di don Cugini contro l’omofobia: «Sono stanco dell’ipocrisia della Chiesa»

Reggio Emilia, il post “Vogliono solo vivere” pubblicato dall’ex parroco di Regina Pacis sul blog Pensando dopo il Forum con i cristiani Lgbt: «Grazie agli stimoli di Papa Francesco è il momento di osare un’accoglienza retta da una nuova elaborazione teologica»

21 ottobre 2018
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REGGIO EMILIA. Riportiamo l'intervento di Don Paolo Cugini, prete missionario  ed ex parroco di Regina Pacis.

Vogliono solo vivere. È stata questa la mia considerazione finale al termine dei tre giorni del Forum con i cristiani LGBT, svoltosi all’inizio del mese di ottobre 2018 ad Albano Laziale. Non vogliono nient’altro che questo: vivere come tutti. È questa una risposta semplice e banale alla classica domanda che la gente perbene, quella gente che pensa di essere nel giusto e nel vero, per il semplice fatto che si sente normale (non ho scritto: che è, ma che si sente): che cosa vogliono questi qua? Vogliono vivere, mia cara signora omofoba; desiderano vivere liberi e non giudicati, carissimo signore della porta accanto, che ti fa ribrezzo solamente sentire nominare la parola omosessuale.

È questo semplicissimo dato esistenziale, che ho compreso in queste bellissime giornate di amicizia, studio, preghiera e condivisione. Mentre ascoltavo le relazioni, partecipavo ai gruppi di lavoro, pregavo, mi domandavo: ma perché siamo arrivati al punto che delle persone devono nascondere la propria identità, per paura delle ripercussioni, non solo in famiglia, ma anche nel lavoro e anche – mi rincresce molto dirlo, ma è la verità – nella Chiesa. Che cosa è successo?

Ascoltando le testimonianze dei cristiani omosessuali, dei loro genitori (mi hanno colpito, in modo particolare, le testimonianze di alcune mamme), delle loro sofferenze causate spesso dagli uomini di Chiesa, che utilizzano la dottrina come un machete senza nessun scrupolo, forti dell’identificazione dottrina-verità, mi chiedo a cosa siano serviti secoli di filosofia e di teologia, se non sono riusciti a sgretolare nel pensiero occidentale pregiudizi ancestrali ingiustificati, tenuti in piedi solamente da ragioni artefatte, messe in piedi per salvare l’opinione comune. Nonostante da decenni la scienza affermi che ci sono persone che nascono omosessuali, la cultura nella quale siamo nati e della quale ci siamo imbevuti, rifiuta questo dato confermato dalle stesse persone interessate.

Basterebbe fermarsi ed ascoltarle. Come prete dico: basterebbe prendere sul serio le testimonianze ascoltate nelle confessioni, per capire che nella dottrina cattolica che dichiara “l’inclinazione omosessuale oggettivamente disordinata”, c’è qualcosa che non funziona, qualcosa che non è inerente alla realtà. Quando la teologia non spiega la realtà, o la spiega parzialmente, mettendo delle pezze a ciò che, a causa delle precomprensioni culturali, non riesce a comprendere, significa che ha imboccato la strada dell’ideologia e, come sappiamo, qualsiasi ideologia è di parte, difende interessi, provoca divisioni dentro e fuori le persone.

Come ha sostenuto la teologa Cristina Paganelli, attuale presidente delle teologhe italiane, nel suo intervento al V Forum dei cristiani LGBT: «Il catechismo della Chiesa cattolica è una sintesi datata, non certo eterna o intangibile: a dimostrazione, è stata tolta la liceità della pena di morte, può essere tolto anche il disordine oggettivo! Si tratta dunque di un documento che merita rispetto, sì, ma anche comprensione storica, critica, teologica e dunque dibattito».

Sono solo due anni che come pastore accompagno cristiani LGBT e già sono stanco di sentire l’ipocrisia della Chiesa che servo, che utilizza le parole magiche dell’accoglienza e dell’inclusione senza poi, dall’altra parte, offrire i contenuti della stessa. Rimango stordito quando ascolto le belle parole dell’accoglienza da quella mia Chiesa, che poi sbatte volgarmente fuori dai confessionali fratelli e sorelle che s’inginocchiano per chiedere misericordia.

Ma che roba è questa? Di che cosa stiamo parlando? Soprattutto: ci rendiamo conto dei disastri che stiamo combinando in nome di un Vangelo che il mondo non riconosce nelle nostre scelte e nei nostri atteggiamenti schizofrenici? Con la bocca, infatti, diciamo una cosa, mentre con i nostri gesti la neghiamo. Perché non permettiamo ad una persona omosessuale di leggere in Chiesa o di fare catechismo (su questo tema specifico la letteratura è spiacevolmente e vergognosamente enorme)? Come si fa, poi, a dire ai cristiani LGBT “ti accolgo nella comunità” e poi vescovi e preti proibiscono di realizzare le veglie per le vittime dell’omofobia? Quanta vergogna e quanto imbarazzo ho sentito in questi due anni in cui assieme agli amici e amiche del gruppo abbiamo organizzato le veglie di preghiera e venire barbaramente e violentemente attaccati da quegli stessi fratelli e sorelle che alla domenica incontravamo attorno alla stessa mensa del Signore per ascoltare la sua stessa Parola e cibarci del suo stesso corpo. Perché accadono queste cose? Che cosa hanno fatto? Non hanno diritto di pregare come tutti? Perché tu che sei stato messo per essere il pastore conforme al Vangelo del Signore, sbatti le porte in faccia a questi fratelli e sorelle? Eppure i cani li lasciamo entrare nelle Chiese!

Chi lavora da anni con i cristiani omosessuali sente che, grazie anche agli impulsi e agli stimoli dottrinali di Papa Francesco, è giunto il momento di osare qualche passo in più nella direzione di un’accoglienza che sia retta da una nuova elaborazione dottrinale e teologica. Lo ha ricordato suor Fabrizia che da dieci anni, assieme alle sue consorelle domenicane, ha aperto le porte del monastero di Firenze.

Dopo aver ricordato che «le nostre comunità cristiane, che hanno condannato per lo più al nascondimento le persone LGBT presenti al loro interno, lasciando sussistere il sospetto di un sottile legame tra condizione omosessuale e perversione morale, debbono riconoscere di aver tradito lo sguardo benedicente di Dio», suor Fabrizia ha aggiunto che «per quanto sia fondamentale la conversione pastorale, siamo convinte che questa non basti. Crediamo che la teologia sia chiamata oggi a ripensare con coraggio, secondo la sua specifica vocazione alla ricerca, le questioni relative al mondo LGBT».

I nostri fratelli e le nostre sorelle LGBT ci stanno facendo crescere, ci stanno aiutando a togliere dai nostri occhi il velo dell’ipocrisia, ci stanno aiutando a capire il vangelo divenendo in questo modo, un luogo ermeneutico incredibile. Per questo, ve ne siamo grati e preghiamo perché anche i nostri pastori-vescovi escano al più presto dalle facili parole e dai facili atteggiamenti di maniera, per riconoscere finalmente il dono di grazia che Dio ha fatto con la vostra vita omosessuale. —