Gazzetta di Reggio

Capolavori ritrovati, a Reggio Emilia spunta una Madonna della Ghiara del '600

di Jacopo Della Porta
Capolavori ritrovati, a Reggio Emilia spunta una Madonna della Ghiara del '600

La statua era conservata nella canonica di Gavassa, ora è stata perfettamente restaurata 

06 ottobre 2017
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REGGIO EMILIA. Il patrimonio artistico e culturale del Reggiano si è arricchito di una nuova opera, ora perfettamente restaurata. Si tratta di un gruppo scultoreo, raffigurante la Madonna della Ghiara, che si ignorava risalisse al XVII secolo. Un’opera, composta da due statue, la Madonna e il Bambino Gesù, realizzata in cartapesta, che rappresenta un esemplare raro, forse unico nel nostro territorio.

La statua è stata donata alla parrocchia di Gavassa da don Angelo Guidetti prima di essere trasferito a Baiso nel 2015. A sua volta il sacerdote l’aveva ricevuta in dono quando era a Caprara di Campegine da una famiglia che ne era entrata in possesso al momento dell’acquisto di un immobile. Si sapeva che era appartenuta a un’altra persona ma poi le informazioni sulla provenienza cessavano del tutto.

Quando Luigi Borettini, che fa parte del comitato per il restauro della parrocchia di Gavassa, ha interpellato la restauratrice Roberta Notari, si ha avuta la sorpresa. «Quando ho visto lo scatolone in canonica, con la testa della Madonna che spuntava fuori – dice la restauratrice – mi sono emozionata. Ho subito detto: “Don Angelo, ma è una Madonna della Ghiara del ’600”!».

Alla professionista, specializzata nel restauro di sculture lignee, terracotta e cartapesta, è bastato un colpo d’occhio per capire il valore artistico e culturale dell’opera. «Le due statue erano in uno stato di conservazione precario, completamente annerite, con diverse parti mancanti – dice Roberta Notari – perché queste opere erano spesso circondate da candele che hanno annerito e talvolta distrutto parti di esse. L’importanza della scoperta risiede anche nel fatto che a Reggio Emilia non c’è una tradizione nota di cartapestai, tanto meno nel ’600. A Bologna si sviluppò un secolo dopo con le famiglie dei Piò e dei Mazza».

La Madonna e il Bambino hanno entrambi gli occhi di vetro. Il sistema costruttivo è di tipo polimaterico, in quanto sono state impiegate la cartapesta e la tela gessata. Le statue poggiano su un basamento ligneo, l’interno è completamente cavo senza alcun supporto e la solidità della struttura è dovuta alla forte coesione tra le varie tele (almeno quattro) di diverse tipologie composte da ritagli e da più pezzi attaccati e cuciti fra loro. Venivano usate delle madriforme, o stampi, in cui venivano pressati i vari strati di carta macerata che era in seguito irrobustita da una tela anch’essa imbevuta di colla forte. Una volta costruita la struttura in carta e tela, lo strato superficiale era costituito da gesso ed infine veniva dipinto.

Grazie a un contributo della Fondazione Manodori sono stati reperiti i fondi per il restauro, che è stato effettuato nel laboratorio di restauro di Roberta Notari in viale dei Mille a Reggio. Uno studente reggiano della scuola di restauro Istituti Santa Paola di Mantova, Gabriele Melioli, ha realizzato la sua tesi sul progetto di restauro. Ora insieme a Roberta Notari sta concludendo un libro che dà atto dell’esito finale.

«L’intervento – dice la restauratrice – è durato quattro mesi ed è consistito nella pulitura, il consolidamento, la ricostruzione delle parti mancanti con l’inserimento di alcune parti del tessuto». Il gomito sinistro della Madonna era mancante e pertanto è stata utilizzata la tecnica della stampa in 3D. «Abbiamo fatto una scansione virtuale del braccio e poi abbiamo stampato un modello. In questo modo abbiamo potuto lavorare per ricostruire la parte mancante senza sollecitare la statua originale».

Il gruppo scultoreo è ora esposto nella chiesa di Gavassa ed è molto apprezzato dai fedeli.

«Non sappiamo da dove proviene questa opera – dice la restauratrice –. In Italia la scultura è stata storicamente trascurata rispetto alla pittura e queste opere sono immagini di culto conservate per secoli dalla popolazione locale. Raramente i documenti di archivio ne narrano la storia, ed è solo di recente che si è raggiunta la consapevolezza dell’importanza storico-artistica di manufatti che seppur realizzati con povertà di materiale, testimoniano una cultura di devozione e venerazione con radici molto antiche».

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