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Il "favoloso trasporto" di Scajola

LIGURIA ITALIA

4 minuti di lettura
SE non ci fosse, Claudio Scajola bisognerebbe inventarselo. Sarà l’inevitabile simpatia per un vecchio compagno di scuola. Sarà la sensazione che gli abbiano fatto troppi processi (e persino la galera) senza mai trovare una ragione valida per condannarlo (sembra che detenga il record di assoluzioni).
Il fatto è che Claudio Scajola è ancora lì per l’ennesima battaglia giudiziaria, intentatagli da un diritto bulimico.
UN diritto che pretende di trattare come reati anche le violazioni alla morale corrente e magari persino alla sobrietà e al buon gusto ecc. e fallisce inevitabilmente per mancanza di competenza (giuridica e culturale). A questo diritto che lo accusa, nel suo complicato italiano, di “procurata inosservanza della pena” (quella che doveva scontare l’on. Matacena), Claudio Scajola ha contrapposto il suo ampolloso italiano, producendosi in una deposizione che è all’altezza non solo del troppo noto “a sua insaputa”, ma anche del verbo che, in quella famosa dichiarazione sulla casa del Colosseo, lo precedeva e che dovrebbe essere più e meglio ricordato: il verbo era “acclarare” (ricordate?: “se si dovesse acclarare che qualcuno… a mia insaputa…”), una sintesi magistrale di giuridichese forbito e politichese arcaico, degno del commissario Ingravallo del celebre Pasticciaccio brutto di via Merulana di Gadda. Siccome a Roma un giudice ha acclarato che davvero Scajola fu fregato a sua insaputa con un regalo di circa un milione di euro (differenza tra quanto pagato da lui per l’alloggio e quanto percepito dalle venditrici pagate da altri), l’ex ministro, a Reggio, si è sentito in dovere di tirare di nuovo fuori la sua lingua speciale per convincere anche i giudici calabresi di quello di cui sono in sostanza certi a Imperia tutti quelli che lo conoscono: e cioè che lui non è un criminale astuto (del resto: ve la immaginate la ‘ndrangheta che arruola uno che dice “acclarare”?), ma un vecchietto con la pancia che si è preso una cotta per la bella e giovane signora Rizzo e ha fatto di tutto per lei, anche fingere di aiutarla a far rientrare in Italia un marito che era invece molto opportuno se ne stesse all’estero, lontano dal tetto coniugale, sotto il quale, come è noto, se ci sono due uomini, uno è di troppo. Ha dunque dichiarato a un certo punto l’ex ministro, come si sente dalla registrazione del suo intervento al processo, che provava una grande pena per Chiara Rizzo, “condizione poi trasformatasi in trasporto con qualche sentimento”. Stupendo! Passi un “sentimento con qualche trasporto”, un affetto che, diciamo, si manifesta con delle effusioni, ma “un trasporto con qualche sentimento”!: delle effusioni con un po’ di affetto? Voleva dire proprio questo l’ex Ministro? Ne dubito. Ma lui ha cercato come suo solito la parola o la frase più impossibili, tanto più che gliene servivano di quelle in grado di avallare la tesi difensiva dell’innamoramento per la signora Matacena e di non far arrabbiare troppo la già seccatissima signora sua; ne voleva una che dicesse e negasse, ammettesse e ridimensionasse al tempo stesso. E si è affidato al “trasporto”, una parola troppo dotta per essere anche ben comprensibile, casta ma allusiva, che confessa e assolve contemporaneamente. Scajola non poteva dire: sì ho conosciuto Chiara Rizzo, mi è piaciuta, me ne sono innamorato, ecc. Ne andava del suo decoro e della pace familiare. Ma al contempo lo doveva dire per difendersi e perché in fondo è certo dell’assoluzione unanime almeno della metà maschile del pianeta. Infatti, guardando le foto della bella signora Rizzo, non è difficile capire perché Scajola sia stato “trasportato” sia pure con sentimento. La scelta della parola resta un capolavoro, la degna risposta, improbabile e burocratica, all’altrettanto improbabile e burocratico sospetto di associazione a delinquere formulato dai suoi accusatori. Ma tutta la deposizione di Scajola in tribunale è linguisticamente di pregio: dall’immagine di Chiara Rizzo, “costretta a vivere in un monolocale” di Montecarlo, dove l’infelice dal duol consunta suscita la pena del misericordioso ministro che si sente “trasportato” verso di lei, ai 700 mila euro di spiccioli che bisognava far rientrare dalle Seychelles, dove erano stati depositati per le abituali attività di beneficenza, e che tutti, persino i banchieri — ma non il candido Scajola, sempre in prima linea nell’”insaputa” — guardavano con una certa diffidenza, timorosi che si potesse trattare di riciclaggio, e quindi non collaborando al pietoso rientro in patria dei sudati risparmi, dove sarebbero stati forse più utili dell’assente marito.
C’è tutto il buon Claudio Scajola in questa deposizione, anche nell’ammirazione sconfinata per “la bellissima barca d’epoca” dei coniugi Matacena, su cui ha visto nientepopodimeno che l’armatore Lefebvre D’Ovidio e la sua signora; e per uno che ha comperato la rovinosa casa del Colosseo perché al piano di sopra ci abitava Lori Del Santo, scusate se è poco. Sia lode dunque a Claudio Scajola, uomo unitivo, pieno di pietà e sentimento, tanto quanto, per fare un parallelo, il suo coetaneo Massimo D’Alema è divisivo, pieno di rancori e livori, esperto più in traslochi che in trasporti. Scajola è quasi umile nella sua scoperta superbia da innocuo Sciaboletta di provincia, mentre D’Alema è tutto superbo nella sua pseudo umiltà di gauchiste da yacht club. Entrambi sono attratti dai ricchi, ma almeno Scajola li va a cercare apertamente, mentre l’altro fa sempre finta di incontrali per caso.
Ci sono attività dalle quali, dopo un certo numero di anni, dovrebbe essere obbligatorio ritirarsi. Purtroppo, come D’Alema, anche Scajola persiste, incapaci l’uno e l’altro di non vedersi se non sul podio da cui predicano scandendo le parole come maestri pensosi, l’uno con le sue pomposità, l’altro con le sue sottigliezze verbali. Pur di non scendere dal palco, Claudio Scajola sembra pronto persino a candidarsi di nuovo a sindaco della sua piccola città. C’è chi dice che sia stato lui a commissionare il sondaggio che arriva in questi giorni nelle case degli imperiesi, chiedendo se prenderebbero in considerazione la sua candidatura a sindaco. Non so se è una sua iniziativa. Certo è che l’acuta domanda: “meglio come sindaco una personalità esperta e conosciuta o un giovane senza esperienza?”, traducibile con “preferite un saggio o un cretino?” è degna di competere per finezza retorica col trasporto con sentimento. Comunque, se lo chiederanno a me, dichiarerò che preferisco un vecchio esperto “dei vizi umani e del valore” come Scajola, magari troppo versato per i primi, ma, a suo modo, come dimostra il gusto per le parole dotte e ricercate, ambizioso anche del secondo.