Genova

Centro Storico, una storia minima

CARTA BIANCA

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Una storia minima. Ma nel suo piccolo istruttiva.
Piazza del centro storico riqualificata e ben tenuta pur se circondata da vicoli consegnati alla prostituzione e allo spaccio.
Al centro un bar con dehors molto frequentato da genovesi e turisti che ha contribuito non poco ad evitare l’avanzata del degrado. Un vero presidio di confine della qualità urbana.
Da almeno due anni in un angolo della piazza è comparso un giovane marocchino con evidenti problemi di disagio mentale.
Sempre solo o al più accompagnato da una bottiglia di birra. Una presenza comunque accettata. In qualche misura accolta.
A partire dal parroco che gli ha trovato una stanza dove dormire.
Circa un anno fa rimane gravemente ferito in una rissa dai contorni non chiari. Dalle cronache dei giornali sembra in fin di vita.
Ma sopravvive e uscito dall’ospedale riprende il suo posto nella piazza e i suoi lunghi e confusi monologhi. Recentemente però i disturbi del giovane devono essersi accentuati: adesso è aggressivo con i frequentatori del locale, insulta i gestori e chi ci lavora, produce un disagio reale.
Dal bar si sono rivolti varie volte per capire come affrontare la nuova situazione ai carabinieri e alla polizia municipale ma con poco successo. Di fatto non c’è alcun reato e i documenti sono in regola.
E di sicuro non sono le forze dell’ordine che possono ridurre il malessere del ragazzo. Di certo la vicenda crea comunque malumore.
C’è chi nella piazza comincia a leggere quanto accade come la conferma di una migrazione aggressiva, chi invoca il mitico Daspo promesso dall’assessore Garassino per costringere il giovane ad allontanarsi, chi si limita al fatidico “non sono razzista, ma..”.
Insomma si sta increspando un clima da sempre positivo. Una storia davvero minima a fronte delle tante emergenze cittadine ma che sollecita qualche riflessione. La prima: un caso evidente di disturbo mentale non comporta l’intervento di alcun servizio sociale o sanitario.
Pare che non ci sia nessuno istituzionalmente competente a occuparsi del giovane, delle sue condizioni e del suo dichiarato star male. È abbandonato a sé stesso.
Come forse accadrebbe a un italiano in analoghe condizioni e senza protezioni famigliari. Ma il ragazzo è marocchino.
Ed è ancora più complesso mettere in moto un’azione di assistenza.
Probabilmente rientrerebbe sotto lo sguardo istituzionale solo se arrivasse a compiere qualche gesto inconsulto.
Allora comincerebbe la grancassa mediatica sulla violenza incontrollabile, sui vicoli senza legge, sull’intollerabilità del vivere porta a porta con gli immigrati. Sulla colpevole assenza di ogni prevenzione scenderebbe solo il silenzio. Secondo: è evidente che lo svolgimento dell’attività del bar diventa più difficile, che si moltiplicano i contrasti ed emerge qualche paura verso possibili reazioni incontrollate. Nessuno però pare prendersi a cuore la cosa. Come fossero fatti loro. Terzo: un problema sociale, a priori non così complicato nonostante non sia facile rapportarsi al disagio mentale, si trasforma automaticamente senza altre e più adeguate soluzioni in un problema spicciolo di ordine pubblico e la logica con cui affrontarlo finisce per essere solo quella sicuritaria. Cioè non si risolve nulla ma si sposta un po’ più in là. Magari nelle zone già segnate dal degrado. Ecco che dentro una vicenda di vita quotidiana si possono leggere in micro tanti degli ingredienti che hanno fatto crescere nel corso del tempo le spinte xenofobe e la percezione dell’insicurezza. Senza che ci sia un colpevole che non sia la disattenzione delle istituzioni. Perché il mutamento culturale, quasi antropologico, degli italiani verso gli stranieri è figlio dell’inesistenza di politiche rivolte all’immigrazione, dell’indifferenza verso i conflitti e le contraddizioni che i processi globali scaricano sulle nostre città. E questo oggi vale, per allargare il ragionamento e allontanarsi dalla piazza, in primo luogo per un sistema di accoglienza dei migranti fondato sull’emergenza e che così non può reggere nel tempo. Che produce, con ragione o meno, costanti tensioni urbane. Certo a monte ci sono l’arroccamento europeo, gli effetti distorti della Bossi-Fini, la difficile gestione dei flussi. Ma al fondo permane la carenza di un disegno credibile di integrazione delle nuove migrazioni. Perché appunto la sacrosanta accoglienza da sola non basta. Il rischio concreto è che i migranti rimangano fantasmi sociali, avvolti dal tempo vuoto dell’attesa del riconoscimento, privi di competenze linguistiche e o di mestiere. Ma di questo non si parla: c’è solo la destra che urla e alimenta i peggiori fantasmi e un disagio diffuso tra i cittadini perché non sono chiare né le prospettive né le regole. Per tornare a quella piazza del centro storico: c’è qualcuno che farà qualcosa per prendere davvero in carico, senza inutili tso, il ragazzo e salvaguardare il lavoro dei gestori del bar? Difficile. In fondo non è altro che una delle tante storie minime della città.